Quello che lasciamo
Chissà a quanti di voi sarà successo di sapere da Facebook della morte di una persona amica, di una vecchia conoscenza con cui si erano persi i contatti, di un collega che si era perso di vista. La prima volta che mi capitò fu con una ragazza che aveva frequentato il mio stesso corso di tedesco a Monaco, dove sia io che lei lavoravamo. Con lei, brasiliana, e altri, di tante nazionalità, avevo stretto un rapporto di complicità e di intesa che l’essere lontani ognuno da casa propria e alle prese con una lingua non proprio semplicissima aveva arricchito di spensieratezza e al tempo stesso nostalgia. Mi aveva avvisato della sua scomparsa una persona che non conoscevo – ma che mi aveva visto parlare spesso con lei – proprio con un messaggio sulla posta di facebook: “Credo che la conoscessi, volevo avvertirti”.
La mia reazione fu strana. Avvisai un amico comune, un ricercatore turco, anche lui alle prese col tedesco con noi un paio d’anni prima, e poi rimasi un’ora a leggere la sua bacheca. Volevo capire se era stata felice, se quell’allegria con cui affrontava una malattia che sapevamo avesse era venuta meno negli ultimi tempi. Poi scaricai sul mio pc tutte le sue foto, senza pensarci. Credo che il mio intento fosse che non sparisse, che non sparisse il suo sorriso, che la sorte di quel sorriso non rimanesse appesa alla superficie di una pagina che sarebbe stata rimossa di lì a poco.
È capitato altre volte; e di un’altra ragazza, che non riuscivo a capire, forse per il suo essere troppo nordica e troppo silente, la pagina Facebook è ancora lì, a ricordare i compleanni, come un lumino che si accende a ricordare altro. Ecco il tema del post è proprio questo, i lumini che si lasciano accesi a chi resta, le frasi, le foto, le emozioni da poco, le piccole idee da blog, che hanno senso solo in un mondo istantaneo, come quello dei social e dei blog. Ma fanno bene o male a chi resta i messaggi che lasciamo? E se qualcuno si chiedesse se sono stato felice, a partire dai miei post o dalle discussioni su Facebook? Se cercasse di capire se quella volta ero arrabbiato, se da un post in un blog cercasse di desumere se credevo in Dio o no, e questo fosse fonte di consolazione o tristezza per qualcuno, di equivoci emotivi, se scrutasse una mia infelicità da un articolo scritto qui o altrove, un mio essere stato offeso da qualche comportamento di qualcuno che ora davvero cerca tra questi istanti di scrittura magari irrelati tra loro e soffre sbagliandosi, e se qualcuno volesse capire se in quel momento amavo davvero?
Chissà, forse bisognerà pensare anche a chi lasciare le password di questi istanti di vita virtuale (e pure così reale), cioè bisognerà pure riflettere sul tipo di memoria che i social network, i blog e questo mondo sulla superficie di uno schermo, lasciano e costruiscono.