A proposito delle dimissioni di Josefa Idem
Non capisco la fretta di far dimettere Josefa Idem. Non dico che sia sbagliato, dico proprio che non lo capisco. Non lo capisco perché non mi convince la dimensione “simbolica” delle dimissioni in un contesto simbolico, come quello del governo Letta, che è impazzito.
Se ho ben capito Idem ha fatto un ravvedimento operoso sull’Ici/Imu (legale), si è avvalsa di una legge al comune di Ravenna (legale) e forse ha commesso un abuso edilizio (non legale, ma di che entità?). Niente di tutto questo è stato oggetto al momento di accertamenti che possano dirci di più.
Ha senso bruciare all’istante un ministro e una persona per questioni di questo tipo? Forse mi sbaglio, ma a me pare una maldestra savonarolata, che scaturisce da una difficoltà costitutiva. Si vuole dimostrare che il governo è integerrimo? O forse che è integerrimo il PD? Che non c’è una doppia misura?
Ma la doppia misura di fatto c’è. Mi chiedo se per una questione di questo tipo si sarebbe scaricato anche un ministro o un sottosegretario “politico”, un politico del PD di professione, uno con le tessere, con la corrente, uno da cencelli interno, uno che pesa al congresso. Me lo chiedo.
Mi chiedo anche e soprattutto come, in questo posizionamento di simboli, si possa fare convivere una decisione tanto drastica e immediata con il fatto che la metà dei ministri e dei sottosegretari di questo governo ha praticamente votato due anni fa in parlamento che Ruby era la nipote di Mubarak. Come si concilia l’inflessibilità simbolica nei confronti di Idem con il continuare a dire che «i processi di Berlusconi non hanno impatto sul governo»? Ovviamente questo non vuol dire che siccome questo governo si regge sull’assenso di Berlusconi e sui suoi seguaci, allora si può passare sopra a comportamenti illeciti (se ci sono. E se ci sono vanno visti nella loro entità e proporzione, tenendo i piedi per terra). Le mie sono considerazioni aperte e provvisorie. Ne faccio solo una questione di semantica, di segnaletica, di congruità (senza le quali però anche la moralità pubblica rischia di scivolare in strumento regni).