La risposta di Carla Cantone
Carla Cantone, segretario generale del sindacato SPI-CGIL, mi invia alcune considerazioni in risposta al mio post La cantonata del povero ma felice (cornuto e mazziato) in cui rilevavo come nei toni apparentemente neutri di un suo intervento a Ballarò si nascondesse una trappola concettuale, una scorciatoia retorica, che di fatto è la variante del tema «i giovani abbiano pazienza, che il loro turno arriverà». Sono sensibile per professione ai temi del linguaggio e a come la scelta di termini, esempi, metafore sia portatrice di concezioni più ampie. Non mi sfugge neppure la particolarità di una società come la nostra che ho definito più volte, nella sua ambiguità, La repubblica delle nonne, né mi sfuggono i cambiamenti cognitivi e antropologici di una società sempre più di Longevi. Proprio per questo mi parrebbe utile ripensare tutti insieme, senza opposizioni retoriche, e senza scorciatoie – direi quasi senza richiedere la pazienza degli uni o degli altri, e senza attribuire maggiori felicità o minori sfighe a questi o a quelli, e nel rispetto delle emozioni e della ricerca di tutti – a nuovi modelli sociali. Siamo tutti fragili e dalle prospettive incerte. Siamo tutti obbligati a ripensarci.
Qui di seguito la risposta di Carla Cantone, che ringrazio, al post.
Caro Gianluca Briguglia,
ho letto con molto interesse le critiche e le osservazioni che mi ha rivolto su Il Post in merito a quanto da me detto durante la trasmissione Ballarò.
Mi rendo conto che l’argomento utilizzato – quello da lei definito del “povero ma felice” – sia molto scivoloso e non di semplicissima comprensione.
Quando parlavo di felicità però pensavo a quando ero giovane io, come peraltro ho avuto modo di dire. So bene che da allora la situazione è cambiata, che quelli della mia generazione avevano davanti a se un’Italia in crescita e il boom economico mentre i giovani di oggi vivono in un tunnel buio e lungo di cui non si vede mai la fine e sono costretti a guardare il futuro con preoccupazione.
Ci terrei però a tranquillizzarla che lungi da me alimentare un conflitto tra le generazioni. Nessuno di noi si può permettere oggi di prendere le parti solo di questa o di quella categoria, perché la crisi ha reso tutti più fragili e più deboli.
La questione non può essere quindi ricondotta ad una gara tra chi sta peggio in cui qualcuno fa il tifo per i pensionati che hanno un reddito bassissimo e qualcun altro per i giovani che non trovano un’occupazione se non precaria e sottopagata.
Non cadiamo in questa trappola perché non c’è modo migliore per non risolvere i problemi che attanagliano questo paese che dividersi tra di noi.
L’altra sera mi sono semplicemente permessa di sottolineare che tra un anziano e un giovane ciò che fa la differenza è la prospettiva.
Un giovane, sebbene il quadro economico e sociale del paese sia drammatico, può sperare di veder cambiare la propria condizione. Un anziano questa speranza non ce l’ha perché, detto forse in modo atroce e cinico, non ha il tempo dalla sua parte.
E resta il fatto che un ventenne è più forte, anche per affrontare le difficoltà, di quanto non lo sia un ottantenne.
Possono sembrare considerazioni banali ma le assicuro che non le fa nessuno.
L’anziano viene piuttosto visto come un peso o come un costo. Qualcuno lo ha perfino inserito nell’Italia peggiore, reo di aver lavorato per una vita guadagnandosi sul campo la pensione.
Mai e poi mai mi permetterei di dire ad un giovane di entrare tranquillamente nella povertà come se nulla fosse e di non tirare la coperta dalla sua parte.
Sono una stata una giovane molto esigente. Ho chiesto tanto a me, a chi mi stava intorno, alla società e alla politica. Anche io ho tirato coperte e guai se oggi pensassi che un giovane non debba o non possa farlo.
Però per favore finiamola con questa idea malsana secondo la quale per far stare bene necessariamente qualcun altro deve stare male.
Di coperte da tirare ce ne sono tantissime. Facciamolo insieme, giovani e anziani.
Cordiali saluti,
Carla Cantone