La cantonata del povero ma felice (cornuto e mazziato)
Carla Cantone, la segretaria del sindacato dei pensionati, fa bene a chiedere rispetto per gli anziani, fa benissimo a sottolineare come siano spesso i pensionati ad aiutare figli e nipoti, in questo welfare al contrario che è la nostra repubblica delle nonne.
Quando si parla di redistribuzione delle risorse e di ripensamento del sistema usa però argomenti emotivi e di difesa un po’ acritici. L’altra a sera a Ballarò a proposito della povertà: «Essere poveri dopo i 65-70 anni è diverso dall’essere poveri a 18-20 anni, perché quanso tu hai 70 anni sei fragile e non hai davanti un futuro roseo devi curarti e pensare all’alimentazione. Io a 18 anni ero povera, poverissima, eppure ero felice perché ero giovane, ero forte, non ero fragile, anche se stavamo male – allora c’è un problema di rispetto anche rispetto al fenomeno della povertà, che è un fenomeno terribile (…)».
L’argomento è povero (anche lui), ed è la variante dell’argomento che si sente nel mondo del lavoro «sei giovane, guadagni un po’ meno anche se hai più entusiasmo, non è giusto ma aspetta un po’», nelle università «sei giovane, aspetta tranquillo il tuo turno senza creare problemi» e un po’ dappertutto, solo che qui viene declinato in un senso generazionale puro: sei povero, ma sei forte e sei felice.
Che l’argomento non regga da nessun punto di vista è chiaro. Se non si pensa un modo di far uscire dalla povertà i giovani, anche il sistema di difesa degli anziani è destinato a incrinarsi pericolosamente, perché le pensioni, sacrosante, si pagano con il lavoro. Non solo, ma quando gli anziani non ci saranno più ad aiutare i giovani e questi ultimi, non aiutati dagli anziani, non potranno aiutare i loro figli, allora il sistema arriverà al punto di rottura sociale. E quel punto si sta avvicinando rapidamente. Ma è soprattutto il tono retorico in sé di un argomento di questo tipo a far pensare: siate tranquilli, siete giovani, entrate tranquillamente nella povertà, non tirate la coperta dalla vostra parte, tanto ora le nonne vi aiutano, poi si vedrà, a ripensare il sistema c’è tempo, non ora.
Peraltro i giovani – e anche i non giovani, i precari nativi che oggi hanno 40 anni – sanno benissimo che il futuro non è roseo (il futuro non è più quello di una volta) e in realtà tutte le generazione sono rese fragilissime, con caratteristiche e tonalità diverse, ma concretissime.
Si potrebbe osservare come parole apparentemente neutre risultino oppressive e portatrici di una visione sociale difensiva e corporativa. Ma alla fin fine, senza andare troppo per il sottile, l’argomento del povero felice non è altro che una variante pensionistica del cornuto e mazziato.
Aggiornamento: Qui la risposta di Carla Cantone