Vaghe e ambigue speranze
Devo dire che considero l’operazione politica di Giannino non banale e lui un ottimo comunicatore, capace di far crescere il dibattito in campagna elettorale, e che spero abbia una rappresentanza alla Camera. Sta però girando in queste ore per la rete il video di un suo intervento, in cui racconta che uno dei suoi candidati, professore associato in un’università del Sud, avrebbe ritirato la propria candidatura per le pressioni ricattatorie del proprio rettore, candidato in un’altra lista.
«Se voglio avere anche solo una vaga speranza di diventare ordinario devo ritirare la candidatura»: il climax del racconto contro i baroni è di un’ambiguità straordinaria. Perché è certamente giusto lo sdegno contro il rettore, ma l’atteggiamento del professore associato, che è tipico della nostra università, è altrettanto caricaturale. Ne esce l’idea di un’università in cui per “una vaga speranza” di avanzamento di carriera e di stipendio si rinuncia alle proprie idee, ci si espone ai ricatti, che poi vuol dire che si obbedisce agli ordinari nelle commissioni di concorso, che si escludono i meritevoli a favore dei non meritevoli e dei poverini. Sempre perché altrimenti l’ordinario cattivo ci minaccia, ci intimidisce, e però ci aiuta in un oggettivamente miserabile aumento di stipendio quando sarà il nostro turno, a scapito di altri. L’aneddoto di Giannino – lo prendo così come lo racconta – ci mostra la pazzesca ambiguità e la sottile confusione in cui l’università è piombata da anni, in cui tutti si sentono vittime, ma nel vittimismo si costruiscono misere carriere.