La rimonta e la dinamica
Nelle nostre campagne elettorali si parla spesso di “rimonta” e di “sorpasso”. Forse il primo ad utilizzare massicciamente le due espressioni fu Rutelli, candidato designato dall’Ulivo nel 2001, chiamato a colmare uno svantaggio notevole e poi sconfitto alle elezioni. Da allora rimontano tutti, chi prima e chi dopo. Il termine è interessante, perché implica una concezione rettilinea e monodimensionale della campagna elettorale. C’è uno in vantaggio e un altro dietro che deve rimontare. La rimonta poi si trasforma in sorpasso (di solito quando i sondaggio non sono più pubblici): si mette la freccia e si passa. Nel 2001 Fini enfatizzava la dimensione lineare della metafora dicendo a Rutelli che se un treno è partito dopo (come l’Ulivo del 2001 appunto) non potrà mai superare il treno che sta davanti, perché il binario è unico.
Che certe parole chiave non siamo mai neutre, risulta chiaro se le paragoniamo ad altre. In Francia per esempio rimango sempre colpito di come il termine guida in questi casi sia “dinamica”. E lo è in modo ossessivo: la campagna elettorale è una “dinamica”, i discorsi dei candidati servono a far partire una “dinamica”, nella prima fase ciò che conta è impostare una “dinamica”, e così via. Dinamica è espressione multidimensionale, non rettilinea, non cumulativa. È come movimento di opinioni, interessi, aspettative che si sposta in modo vario, ma verso una direzione. La dinamica bisogna farla partire, poi fa tutto lei.
Dalla differenza di queste due espressioni discendono modi diversi e interessanti di concepire il discorso e l’azione politica in campagna elettorale, mi sembra. In Italia per rimontare si aggiungono pezzi statici di elettorato, e bastano a volte delle frasi o delle promesse circostanziate su un target ben preciso, si fanno campagne “cumulative”, a un pezzo si aggiunge un pezzo, o si costruiscono alleanze che cumulino target di elettori presidiati dai vari partiti. In Francia si cerca di smuovere, quasi di far smottare, pezzi di opinione pubblica facendo ricorso a valori più ampi – e quindi anche più ambivalenti o ambigui – (non è un caso che nell’ultima campagna tutti, ma proprio tutti, dall’estrema sinistra all’estrema destra abbiano citato Victor Hugo in chiave sociale per far riferimento a una società più giusta), nel tentativo di produrre quell’onda capace di dare all’opinione pubblica l’idea performativa dell’inarrestabilità di un fenomeno politico in corso.