I nativi di Schengen
L’iniziativa degli studenti Erasmus che vorrebbero votare dall’estero è molto interessante (al di là della fattibilità di ciò che chiedono) anche perché pone all’attenzione, e in una campagna elettorale, il tema delle nuove forme di presenza italiana in Europa (e oltre naturalmente).
In un continente sempre più piccolo, in cui le distanze non si misurano più in chilometri, ma in ore di volo low cost, in cui i nativi di Schengen non solo sono maggiorenni, ma lavorano e producono, in cui l’informazione attraverso la rete consente uno sguardo costante verso il proprio paese, è chiaro che si è determinato anche un tipo nuovo di emigrazione o mobilità, una forma cognitivamente nuova di permanenza o passaggio all’estero. La novità a mio avviso sta nella reversibilità di questa permanenza, nella possibilità di stare in una rete continentale che non ti strappa dal tuo paese, come è successo ai nostri nonni e padri, ma consente una relazione costante, un indebolimento dell’idea di frontiera, uno specifico stare fuori e dentro che può avere degli effetti osmotici e comportare una crescita anche collettiva, ed è in fondo il senso dell’interconnessione sempre più stretta tra paesi e culture (e non si limita all’Europa). Non si tratta soltanto degli studenti Erasmus (decine di migliaia ogni anno, da vent’anni), ma si pensi ai lavoratori stagionali, ai ricercatori, oppure ai manager che lavorano magari per un solo anno o due in una sede estera, e molti altri. Non si tratta semplicemente di “residenti” all’estero, nel senso tradizionale dell’espressione, e anche se molti rimangono poi per molti anni fuori dall’Italia non sono “fuori” dal paese, perché conservano uno sguardo anfibio che sta diventando rilevante.
Questo andirivieni cognitivo non è ancora stato ben messo a fuoco nel dibattito italiano, non è ancora stato ben tematizzato, non si è ancora capito che questo flusso di progetti, di apprendimento, di esperienze, di individui e famiglie, possono costituire una risorsa e necessitano però di strumenti (alcune proposte ci sono state, in verità, anche in questa legislatura) e di un canale di dialogo, forse di un riconoscimento nel dibattito nazionale, di una messa a frutto, di una consapevolezza pubblica. Quello che gli studenti Erasmus hanno posto all’attenzione.