Una riforma off-topic (tutte le favole sul presidente)

Sì, lo so, sono fuori tema. Ma questa campagna elettorale è troppo interessante (fino ad ora la migliore degli ultimi dieci anni) per non suggerire alcuni elementi di riflessione off-topic.

Il primo è che in ogni caso – pure con lo sforzo titanico di mezzi, idee, persone, militanza, prodotto da una campagna elettorale come questa – non sappiamo chi governerà il paese il giorno dopo le elezioni.

C’è chi punta al pareggio o a manomettere la vittoria altrui, chi si prende della stampella, chi ha l’incubo che non scatti il premio regionale, chi è tentato di proporre a un avversario di desistere dall’avversarlo. Energie enormi vengono sottratte al dibattito pubblico sui temi dei prossimi anni e dirette a comprendere e organizzare schemi e tattiche che sono un genere a sé, un metadibattito che smorza novità e cambiamento.

La legge elettorale non aiuta, certo, ma se a essere logora e non adeguata ai nostri bisogni fosse non solo la legge elettorale, ma proprio la forma di governo? cioè il fatto che ci ostiniamo a pensare che non è il caso che i cittadini votino l’esecutivo?

Le obiezioni sono le più varie: un sistema presidenziale (o meglio ancora, semipresidenziale, con un parlamento finalmente libero di rappresentare idee in dialettica con l’esecutivo, qui e qui ne dicevo qualcosa) sarebbe meno democratico, più accentratore, e immaginiamo un Berlusconi presidente (già, immaginiamolo, lo avrebbe fatto nel ’94 e poi sarebbe sparito), per non parlare del temutissimo leaderismo, o del “personalismo” della politica.

E proprio su questo la campagna attuale presenta un altro specifico elemento di interesse: non c’è praticamente formazione politica che non giochi sulla persona del proprio leader.

Bersani ha cominciato la lunga campagna delle primarie con una foto di lui bambino con la mamma e col papà e ha tenuto il primo discorso alla pompa di benzina che suo padre gestiva 40 anni fa, in puro storytelling personale. Cerasa de Il Foglio ha notato che forse non ci sarà pure un uomo solo al comando, ma tutti i manifesti elettorali della gestione Bersani, hanno Bersani come soggetto unico.

Il Post ha pubblicato un articolo su “le mani di Monti“, titolare dell’agenda omonima e di una lista dove non ci sono politici, ma campeggia solo il suo nome. Del personalismo di Berlusconi il tacere è bello, ma che dire di una rivoluzione civile che si chiama “Ingroia” e che senza Ingroia proprio non ci sarebbe, di un Grillo che caccia dal movimento chi pensa che lui non sia democratico (sic), del contributo visivo ed estetico di un Giannino alla lista che vuole fermare il declino.

Voglio semplicemente dire che ci troviamo già in una logica di personalizzazione della politica, in forme varie, e in presenza di tutta l’attrezzatura semipresidenziale, ormai anche culturale (non è stato un salto semipresidenzialista quello di un Napolitano che impone un nuovo esecutivo facendo leva sulla propria autorevolezza?), ma senza che questo produca quello scarto positivo che l’elezione diretta del presidente (con tutti i contrappesi del caso), cioè la governabilità, l’assunzione di responsabilità e la necessaria sintesi politica che l’incontro tra una personalità e i cittadini comportano.

Noi intanto ci lamentiamo delle leggi elettorali, discutiamo dei massimi sistemi (più spesso dei minimi), ma non sappiamo chi governerà il paese. Su quello apriremo il dibattito solo dopo le elezioni e lo continueremo finché le coalizioni non litigheranno.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.