Com’è l’abilitazione francese
Per pura coincidenza nelle stesse settimane mi sono trovato a consegnare la domanda di “abilitazione scientifica nazionale” in Italia e a discutere il dossier di ”abilitazione a dirigere le ricerche” in Francia. Dato il dibattito che si è aperto riguardo all’abilitazione italiana – è il primo anno che questo titolo esiste in Italia – e a come migliorarne la procedura, che in effetti ha presentato vari problemi, mi pare interessante descrivere alcune differenze tra Italia e Francia (limitandomi ai settori umanistici).
In Italia l’abilitazione serve per poter partecipare, successivamente, ai concorsi per professore associato o ordinario. Per partecipare all’abilitazione si deve superare almeno uno dei tre parametri quantitativi stabiliti dall’agenzia di valutazione in base alle mediane di produttività del settore scientifico scelto (qui spiego un po’ meglio).
Si prepara un dossier, comprendente il cv scientifico e le pubblicazioni più significative, che viene valutato da una commissione nazionale composta da cinque professori, che può decidere preliminarmente di rendere più restrittivi i parametri. La commissione è estratta sorte, il che vuol dire che, vista l’ampiezza dei settori scientifici, può anche essere composta da non specialisti strettissimi (per esempio la commissione di storia della filosofia, che a oggi non risulta estratta, potrebbe essere composta tutta da specialisti di Kant e Hegel e dover valutare il dossier di uno specialista dei presocratici. Al livello di specializzazione odierna della ricerca questo potrebbe contare, in un caso o nell’altro). Non c’è contatto tra candidato e commissione, tutto si svolge tramite invio dossier e pubblicazioni.
In Francia l’abilitazione (HDR) consente di “dirigere le ricerche”, cioè di dirigere gruppi di ricerca e assegnare e seguire tesi di dottorato. Tramite HDR si accede alle funzioni di “directeur de recherche” al CNRS o presso un Grand établissement, previo concorso, o alle funzioni di professore nelle università (ma in quel caso bisogna chiedere un’ulteriore qualification su dossier, che necessita appunto di essere abilitati). Quindi l’abilitazione consente di partecipare a certi concorsi, ma permette, a chi ha già una posizione di ricerca, di dirigere a sua volta i dottorandi e i gruppi.
La procedura è molto diversa. In primo luogo il candidato deve decidere in che università abilitarsi e chiedere, preliminarmente, a un professore o direttore di ricerca di quell’università di fare da “garante scientifico” del dossier di fronte alla facoltà. La tappa è delicata perché spesso è vietato candidarsi dove si ha già un posto o dove ci si è dottorati. La funzione di garante è seria e prevede già un filtro. Difficile che qualcuno si faccia garante di un dossier debole.
Al candidato viene chiesto di comporre un dossier che comprende di solito (può variare qualche dettaglio da università a università) in primo luogo una sorta di autobiografia intellettuale di un centinaio di pagine. Lo spirito di questo documento è l’autoriflessione sul proprio lavoro, sulle proprie scelte scientifiche e sul percorso svolto e quello futuro. Richiesta tipicamente francese, quella del momento autoriflessivo, che rischia a volte di sconfinare nella “egohistoire”, ma che può invece essere un esercizio estremamente importante di comprensione e coscienza di ciò che c’è veramente in gioco in un certo percorso di ricerca, operazione che per le discipline umanistiche è essenziale. Non sarebbe male introdurre in Italia qualcosa di simile in un qualche punto della carriera.
Il secondo documento richiesto è una ricerca inedita, cioè in sostanza un libro di 200-300 pagine, che può avere anche delle parti provvisorie, ma che delinei un orizzonte nuovo del proprio percorso e che mostri come esso sia capace di far nascere e dirigere ricerche altrui.
Il resto del dossier è composto da testi editi, o anche inediti in misura minore, che rappresentino il lavoro già svolto.
Un dossier medio è di circa 1000 pagine complessive e l’età media degli abilitandi è di circa quarant’anni. Tutto il lavoro preparatorio occupa almeno un annetto di impegno.
Il dossier viene quindi giudicato da un rapporteur interno (diverso dal garante), da due esterni, poi da un collegio ristretto, poi da tutta la facoltà. Infine c’è la discussione di fronte a un jury di specialisti, di diverse università, appositamente composto sul profilo del candidato, di circa 5-6 membri, che assumono il compito con estrema serietà (e con grande impegno, vista la mole dei dossier). Ogni membro critica il lavoro del candidato (critica nel senso pubblico del termine), ne mette in luce gli elementi caratterizzanti, ne mostra nel caso i punti deboli, le potenzialità ulteriori e pone domande e questioni. Si tratta di una vero momento di dibattito scientifico, che ha certamente alcuni elementi “liturgici”, ma che rimane sincero e onesto. Una discussione media dura 4-5 ore, ed è estremamente importante, perché è l’assunzione pubblica di un lavoro di ricerca che è considerato patrimonio della comunità presente e futura.