L’errore di Serra
Secondo me Michele Serra sull’astensionismo sbaglia – pur esprimendo un pensiero che molti condividono. La maggioranza – dice – non ha votato, ma sarà governata lo stesso. Vero. Grazie all’astensionismo ai partiti bastano meno voti per raggiungere i loro scopi. Vero. La somma percentuale è comunque 100. Vero. Quello che non mi convince è il resto. Chi non vota non l’ha fatto necesseriamente, io credo, per tirare una bordata ai politici. Non è per forza una protesta. Chi non ha votato forse pensa che le istituzioni, le Regioni e lo Stato, in questa fase storica non lo aiuteranno ed è inutile occuparsene. Ma nessuno può vivere senza aiuto (nessuna massa almeno).
E il tema interessante non è allora il moralismo dell’ “avete perso il diritto a lamentarvi” (che peraltro non sta logicamente in piedi, perché parte dal presupposto che votare i partiti che uno non vuole votare, e che comunque governano ugualmente, favorisca un cambiamento anziché una resistenza al cambiamento. E quindi Serra esprime il punto di vista di uno che sa che cosa si debba votare), il tema da studiare è piuttosto capire a chi si rivolge, a chi chiede aiuto, una massa di individui che non votano: famiglia, reti, amicizie, vicinato, associazioni, tribù, che circuiti? Come si auto-organizza una maggioranza che non vede nella politica e nelle istituzioni un’integrazione alle proprie attese? Uno forse dovrà pure “tacere e subire”, come dice Serra, perché non ha votato. Ma l’astensionismo di massa è un segno di cambiamento (di regressione, se non si vuole rinunciare a usare parole preconnotate di giudizio) di relazioni e aspettative sociali. Un tema politico per eccellenza. Liquidarlo come protesta o con uno sguardo un po’ moralistico non è la strada più interessante.