Il problema dei fuori corso
Ci sono troppi fuori corso. Il ministro ha ragione. Per Profumo il problema è causato dalla mancanza di una cultura del “rispetto delle regole e dei tempi” e la soluzione – per come la leggo sui giornali – è l’aumento delle tasse per i fuori corso.
Quindi lo schema del ragionamento è: dato statistico preoccupante (su cui tutti sono d’accordo), che è effetto di un elemento culturale (“non rispetto delle regole e dei tempi”, che è la lettura del ministro), sanzione economica degli individui (soluzione).
Ho due obiezioni. La prima è che gli studenti dell’università sono persone adulte con i propri progetti di vita e non credo che spetti all’università entrare nel merito morale di un progetto individuale. Gli studenti che fanno piccoli lavori accanto allo studio sono molti. Sono molti anche quelli per cui l’università non è l’attività principale, fanno un esame all’anno e mantengono viva l’idea di una laurea vista come un traguardo simbolico. Lo studio non è solo preparazione a un lavoro futuro, ma anche miglioramento di se stessi. Aumentare le tasse a costoro, sulla base del principio “regole e tempi”, penalizza una fascia piuttosto ampia di persone tutt’altro che lassiste (e che non rappresentano neppure un costo aggiuntivo per le università, perché i fuori corso hanno già un accesso limitato ai servizi).
Legare il problema dei fuori corso a un principio del genere, per me moralistico, porta a una seconda obiezione, di metodo e di merito.
Il ministero fa bene a darsi come obiettivo la soluzione del problema del rendimento e dei tempi. Ma se è strategico diminuire il numero dei fuori corso, allora devono essere in primo luogo i dipartimenti delle università a dotarsi di servizi che consentano di arrivare all’obiettivo statistico: è lì che bisogna ragionare sul rendimento dei propri iscritti. Come si fa a recuperare gli studenti che sono distratti, che non ci arrivano, sono confusi, che soprattutto non sanno studiare?
Quanti dipartimenti (le facoltà non ci sono più) fanno lezioni iniziali spiegando come funzionano i meccanismi? Quanti tutor ci sono? Quanti pre-corsi si fanno per spiegare come studiare certe materie? Come si spiega ad organizzare un programma di lavoro? Sono tutti servizi e strumenti quasi a costo zero, ma ben pochi dipartimenti si sono sforzati di metterli a disposizione.
E dovrebbero essere in primo luogo i dipartimenti a essere giudicati sulla base dei miglioramenti statistici che riescono a determinare (come succede serenamente in altri paesi). Magari con un coefficiente migliore per l’accesso ai fondi dello stato in caso di successo. Sono i dipartimenti e i loro strumenti che vanno premiati o sanzionati.
Non ha senso parlare di una cultura diffusa di mancanza di rispetto di regole e tempi, senza neanche evocare il tema della cultura organizzativa delle istituzioni universitarie e ministeriali che sono almeno corresponsabili del dato statistico.
Si possono poi pensare incentivi perché gli studenti si sbrighino? Perché no. Disincentivi economici per chi perde troppo tempo? Perché no. L’argomento del ministro però è spuntato e davvero un po’ moralisteggiante, perché sanziona gli individui (la cui vita non è di sua competenza), ma lascia intatta la cultura organizzativa dell’istituzione universitaria (che è di sua competenza).
Quello che resta è l’aumento delle tasse universitarie.