La Grecia, il calcio e l’euro
Non possiamo sapere quanto la vittoria del tutto inaspettata della Grecia sulla Russia agli Europei e il passaggio al turno successivo abbia influito sul voto alle elezioni greche di ieri.
Una vittoria del genere può avere spostato lo sguardo dei greci da un’Europa vista come giudicante e irraggiungibile a un teatro d’azione in cui con resistenza e sacrificio tutto può succedere, in cui il peso iniziale di ogni attore è solo l’elemento di partenza e non un destino ineludibile, in cui non ci sono solo determinismi, ma anche aperture e possibilità. La partita ha detto questo (e nel prossimo turno la Grecia affronterà proprio la Germania) e chissà quanti greci hanno pensato che in fondo quel risultato poteva essere ottenuto anche in quell’altra situazione apparentemente chiusa che è la partita per l’euro (moneta).
Del resto sappiamo che la vittoria di Bartali al Tour de France del 1948 evitò un rischio di guerra civile in seguito all’attentato a Togliatti, sappiamo che le olimpiadi cinesi hanno consacrato il ruolo di potenza della Cina, sappiamo che i mondiali di calcio spagnoli del 1982 marcarono il rientro definitivo della Spagna nella democrazia ed è ormai appurato che il paese che vince il mondiale di calcio beneficia di un effetto positivo sulla crescita del PIL negli anni successivi (e nel 1982 si inaugurò per l’Italia il decennio in cui superammo il Regno Unito nella classifica dei paesi più industrializzati).
Non ci sarebbe allora da stupirsi né da scandalizzarsi se la vittoria della Grecia sulla Russia avesse riorientato lo sguardo e la volontà di molti greci – e di conseguenza anche degli altri europei – perché in fondo lo sport (invenzione dei greci) è fatto della stessa materia di ogni grande impresa umana, che è sostanza anche di ogni grande progetto politico ed economico.