Ma chi ve lo fa fare?
Nell’ultima settimana mi sono sentito dire 4 o 5 volte, da persone diverse, in relazione a un mio brevissimo viaggio di lavoro in Italia: Ma chi te lo fa fare?
Il chi te lo fa fare è un meccanismo mentale interessante e uno di quegli argomenti di finto buon senso che a noi italiani piacciono tanto. Può indicare in chi lo usa vari significati, anche non coincidenti tra loro. È ovviamente un argomento conservatore, ma di un conservatorismo implicito, irriflesso, non politico o come reale posizione pubblica.
Chi te lo fa fare? Le cose non cambiano. Ma nel chi te lo fare non cambiano con almeno due modi e sfumature. Il primo è quello in cui chi lo pronuncia è talmente sfiduciato che non crede sia più possibile opporsi a nulla. Sono i più realisti del re, quelli che hanno introiettato un certo senso della realtà e ci si sono accomodati. Sono quelli che amerebbero che tutti si rifugiassero nella piccola e inutile lamentela, nel mal comune mezzo gaudio del mugugno, nell’interstizio del Franza o Spagna. Il secondo è quello di chi si sente minacciato dal senso di realtà degli altri, cioé di chi non predica e non pratica la rassegnazione. Perché questo sembra accusarli implicitamente. È piuttosto un senso di inadeguatezza propria quello che salta fuori in chi dice in questo senso “Ma chi te lo fa fare?”, che in realtà è un “Non ci sono riuscito io (che non non c’ho neanche provato perché non sarei capace), perché dovresti riuscirci tu?”. In entrambi i casi, chi ne beneficia sono i presidiatori dello status quo.
Il tema che sta sotto è interessante. Ed è il fatto che per produrre un cambiamento qualsiasi, una grande parte delle forze e delle energie dovrebbe essere diretta a convincere e a rendere partecipi quelli che dal cambiamento sarebbero chiaramente avvantaggiati, ma che per motivi psicologici, d’abitudine, di paure e diffidenze preferiscono pensare “chi te lo fa fare”, creando così un clima di inerzia che contrasta oggettivamente ogni iniziativa di cambiamento. Se non si prevede l’inerzia e la vischiosità di certe attitudini, anche là dove non ce le aspetteremmo, e se non si predispongono delle energie per fronteggiarle, credo davvero che ogni cambiamento, nei vari ambienti in cui ognuno di noi opera, sia destinato a essere frustrato.
L’alternativa è rimanere impigliati dai discorsi di buon senso (che producono azione contraria al miglioramento) di quelli che ti danno ragione ma preferiscono stare un passo indietro, che amano urlicchiare negli spazi concessi, diseducarsi alla decisione e all’assunzione del rischio, ritirarsi da ogni spazio pubblico (e ogni ambiente di lavoro è già spazio pubblico) e costruirsi un mondo immaginario di ingiustizie subite di cui lamentarsi.
Io però a tutti costoro una cosa sola vorrei dire: “Ma chi ve lo fa fare?”