A cosa serve un movimento?
Io non sono mai stato un movimentista. Anzi ho sempre intellettualmente un po’ diffidato dei movimenti. Alcuni, del resto, inconsistenti sul piano intellettuale e pretestuosi, non sono durati neppure una stagione. E in ogni caso non c’è dubbio: i movimenti non bastano. Soprattutto perché non si può chiedere tutto e il contrario di tutto. Non si può non pagare il debito pubblico, perché in cinque minuti non avremmo più una lira. E non è un paradosso. Non si può “partire dal basso”, se non si spiega cosa vuol dire, concretamente. Che cos’è la democrazia diretta? Come si fa una “rivoluzione etica”? Si possono certamente chiedere nuove garanzie, un nuovo modo di redistribuire la ricchezza, anche fra le generazioni, regolare profitto e progresso. Ma come?
Detto questo non sono d’accordo con chi attacca il movimento degli indignados per la genericità e a volte contraddittorietà della proposta (anche se è giusto che questo vada sottolineato). In primo luogo perché è comunque ingeneroso attaccare una tale capacità di mobilitazione mondiale e tentare di depotenziarne gli sviluppi. Che senso ha dire: dateci le soluzioni o tacete? Risolvete le questioni o non ingombrate il dibattito pubblico?
Viviamo una situazione di crisi inedita, sappiamo che il futuro prossimo sarà molto diverso dal passato, non sappiamo bene come, siamo consapevoli che c’è un processo di trasformazione in atto e non sappiamo come governarlo. Questo movimento è in primo luogo una forma di attenzione e di pressione, mondiale. Non sembra nascere da ideologie novecentesche, ma da una realtà che è oggettivamente confusa. E’ una prima risposta istintiva, insufficiente ma non solo emotiva, a un basculamento storico che è reale.
Soprattutto, ed è questo il vero punto che mi interessa, può forzare dal punto di vista linguistico e simbolico, per così dire, alcuni nostri schemi interpretativi, può ampliare la percezione del fattibile e del dicibile.
Possiamo non pagare il debito? No. Però per la prima volta ci poniamo la domanda, il che determina un processo di risposte e di domande ulteriori, anche di informazione. Arriviamo a domandarci: non possiamo non pagarlo, e se lo rinegoziassimo? E’ possibile? Si può fare? Forse. Qualcuno lo propone? Un partito, un economista? Come me lo spiega?
Si può fare una “rivoluzione etica”? No, non esiste. Però forse si possono imporre alcune regole alle banche, per esempio una limitazione di dividendi e di bonus alle banche che hanno ricevuto aiuti dai fondi salvabanche. E’ più etico, ma non ha niente a che vedere con l’etica dei singoli.
Quello che intendo dire è che è in gioco è un senso della realtà, cioé di quello che è realistico, del realismo politico dei prossimi anni.
Sfondare la barriera di quello che si può pensare, di quello che si può chiedere è un oggettivo ampliamento di possibilità. Questo un movimento mondiale lo può fare. Certo non basta. Ma può rendere tutto più facile. Ovviamente ci vuole qualcuno che trasformi le domande impossibili in questioni politiche, dovrebbero essere politici, tecnici, economisti, intellettuali, ma nessuno lo farà se non si amplia il senso della realtà e del realismo.