E se Pinocchio ce la facesse?
Quando l’anno scorso fui invitato da Pippo Civati a partecipare all’incontro della Leopolda a Firenze, chiesi di poter parlare di Pinocchio.
Sì, perché il discorso pubblico italiano, non solo la politica, sembra essersi cacciato da decenni in un apparente labirinto linguistico e lessicale, pieno di trappole cognitive, di dualismi imposti, di tagliole concettuali. Il risultato è stato un vero immobilismo, un conservatorismo che attraversa le posizioni più disparate e tutti i partiti, ciascuno per la sua parte. Sono stati presidiati i racconti collettivi, le possibilità parlare di noi stessi come collettività in modo diverso e forse più utile.
Un po’ come nella storia di Pinocchio, che a pensarci bene non è un racconto, ma una battaglia di racconti, perché Pinocchio cerca di raccontare se stesso combattendo contro i racconti che gli altri fanno su di lui. Geppetto, la fata, il Gatto e la Volpe, tutti lo raccontano a modo loro, tutti gli dicono come dev’essere. Un po’ come a noi, come paese.
Certo lo choc dell’ultimo anno e degli ultimi mesi ha inceppato alcuni meccanismi di controllo. Non solo: movimenti spontanei, richiesta di politica “dal basso” sempre più diffusa, una certa volontà di diventare giustamente protagonista da parte delle generazioni più giovani (quella dei venticinquenni, intendo), la coscienza, sempre più creativa, di un cambiamento necessario e possibile, ha reso quest’ultimo anno l’inizio di una vera battaglia di racconti. E se Pinocchio ce la facesse? A svincolarsi dai padri Geppetto, dalle fatine che lo vogliono tutelare a modo loro, dai gatti e volpi di un lingaggio che spesso ci intrappola proprio mentre crediamo di usarlo?
Quest’anno c’è una nuova Leopolda di Firenze, c’è anche una Piazza Maggiore di Bologna e tanti altri tentativi di costruzione di nuovi racconti. A me è tornato in mente Pinocchio e lo allego qui di seguito come una sorta di videopost.