Ghigliottina.com
Forse mi sbaglio, ma da un po’ di tempo i social network, come Facebook, si stanno riempiendo di commenti e considerazioni che ricordano più lo sfogo che l’esercizio della critica e l’esposizione delle idee.
Se a questo aggiungiamo la violenza e la stupidità dei commenti anonimi ai post dei blog in generale (non in questo blog, i cui lettori sono così educati che commentano in privato o mi contattano su facebook con nomi e cognomi…) ne risulta una sensazione di sconforto. Ma lo sconforto sarebbe nulla rispetto alla preoccupazione per la perentorietà di tesi e soprattutto di modi per esporle (spesso le due cose coincidono) che stanno montando, almeno così mi pare, nell’opinione pubblica dei social network, anche da parte di persone per nulla anonime e rispettabilissime.
Nelle ultime settimane ho letto difese oltranziste della necessità etica di conoscere dettagli privati del tutto ininfluenti di politici intercettati, ho letto del dovere di prendere a pedate i padani, perché la Padania non esiste (il che però allora vuol dire prendere a pedate un avversario politico, non un padano), ho letto di padre Pio che non confessava i comunisti, ho letto da parte di alcuni difensori dei diritti degli omosessuali della necessità di fare i nomi dei politici omosessuali in una sorta di outing forzato per sburgiardare i politici incoerenti, ho letto di zoccole alla gogna, del culo della Merkel come prova provata che il nostro paese è compromesso.
Una tale virulenza è naturalmente giustificata facendo ricorso alla coerenza, all’esempio, al diritto, alla libertà, cioè a tutto il contrario di quello che si legge.
Forse era ovvio, dopo vent’anni di sfondamento populista delle barriere del linguaggio, che tutti, da tutte le parti, non facessero più caso al fatto che il linguaggio è un’arma vera e propria, è uno strumento che prefigura la realtà fattuale, che organizza le possibilità di reazione agli avvenimenti, che inquina o bonifica la realtà, che non si limita a descriverla, ma la crea.
Forse mi sbaglio, ma non vorrei che al ventennio populista seguisse una fase ancora peggiore, quella del giacobinismo.