Dr Jekyll e Mr Salvini
Lo sdoppiamento tra carica istituzionale e immagine mediatica è uno dei grandi problemi che la democrazia – se riuscirà a sopravvivere – dovrà affrontare nei prossimi anni. La sovrapposizione tra queste due funzioni del potere va in scena ovunque, ma in Italia in modo più clamoroso che altrove. C’è un personaggio mediatico che fa il contrario di quello che la sua carica istituzionale prescrive. Quasi ogni giorno l’account Twitter privato dell’attuale ministro dell’Interno proclama «Prima gli italiani» e intanto espone gli italiani che non gli piacciono agli insulti e alle minacce dei suoi fan (e dei suoi fake): una ragazza in manifestazione, Fazio (attaccato una trentina di volte dall’inizio di novembre), Saviano, Genna, «gli avvocati della Diciotti», Murgia, Boldrini, Cecilia Strada, il «professorone» De Masi, Lucarelli, Oliviero Toscani, tre ragazzine minorenni colpevoli di avere esposto uno stupido cartello su piazzale Loreto in manifestazione.
Non occorre che i bersagli siano famosi, l’importante è additare al pubblico ludibrio un capro espiatorio al giorno. Ormai è un format: ogni attacco è accompagnato da una foto segnaletica e da un commento apparentemente bonario, che in realtà funziona come istigazione. Insulti e minacce sono atti di violenza e, prima o poi, qualcuno potrebbe passare alla violenza reale. È successo di recente alla deputata laburista Jo Cox e al sindaco di Varsavia, assassinati dopo violente campagne d’odio. In Italia ci si è andati vicini a Macerata quando Luca Traini, estremista di destra già candidato della Lega Nord alle amministrative, ha deciso di sparare ai neri che incontrava per strada per vendicare l’orribile assassinio di Pamela Mastrogiacomo.
Il rischio che dall’insulto si passi all’azione esiste ed è in parte dovuto a un personaggio mediatico che attacca quello che l’istituzione da lui rappresentata dovrebbe difendere. Il ministro dell’Interno, infatti, è a capo del Dipartimento per la Pubblica Sicurezza, «titolare di tutte le attività connesse alla gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, al coordinamento tecnico-operativo delle Forze di polizia». Tra i suoi doveri istituzionali c’è, quindi, in primo luogo, la sicurezza dei cittadini, di ogni cittadino, anche di chi non la pensa come lui.
Perché questo clamoroso tradimento dei doveri istituzionali non crea scandalo? Perché rimane invisibile, non provoca polemiche e richieste di dimissioni?
Perché personaggio e istituzione non sono distinti. Il primo sostituisce la seconda, come fonte della legittimità del potere. Forse siamo già in un’altra epoca di cui, senza accorgercene, abbiamo assorbito le strutture politiche profonde, sostituendole alle pratiche dentro cui eravamo cresciuti. L’immagine social e televisiva si è sovrapposta alla funzione istituzionale, l’ha assorbita e, quasi, cancellata.
Il potere è sempre stato rappresentazione. Il corpo del re rappresenta lo Stato e la corte riassume la società, come in uno specchio ridotto: duchi, conti, marchesi sono piccoli sovrani che esercitano il potere su piccoli insiemi di sudditi che a loro volta dominano altri sudditi. Quando la monarchia – thanks God – è finita, la democrazia ne ha ereditato la funzione rappresentativa, attutendone lo sfarzo e l’ostentazione. La visibilità, da tratto distintivo del potere, è stata sostituita dal pudore. Il potente, per essere tale, doveva farsi simbolo, a costo di rinunciare a se stesso. Il suo privato era assorbito, fino a svanire, dalla carica istituzionale che incarnava. Questo schema sta saltando. I potenti in grisaglia – anonimi, intercambiabili e inappariscenti – che fino alla fine del secolo scorso, con qualche eccezione, hanno guidato le democrazie liberali vengono via via rimpiazzati da personaggi mediatici che, per avere consenso, non hanno più bisogno del guscio dell’istituzione, ma di popolarità che alimentano ogni giorno, sorridendo, mangiando, cantando o aizzando.