Il giorno della manetta
Quel martedì di 25 anni fa il tempo a Milano era saldamente inchiodato alle medie del periodo: -0,8°C di minima e 9 di massima, umidità al 35%, sotto la norma, vento mediamente debole, 8,5 chilometri all’ora, e visibilità atmosferica – cioè la distanza massima al di là della quale un oggetto cessa di essere visibile – oltre la soglia della foschia, a 10,6 chilometri. «Insomma», come scrisse quello, «con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una normale giornata di febbraio dell’anno 1992».
Il Corriere della sera del 18 febbraio 1992 costava L.1200, milleduecento lire – sono andato a rileggerlo alla Biblioteca Sormani, la più grande di Milano – e in basso a destra c’era questo titolo: «Milano, arrestato il presidente dei Martinitt. Accusato di concussione finisce in carcere Mario Chiesa, socialista». L’articolo diceva: «Il mondo politico milanese è stato scosso da un clamoroso arresto. Ieri sera i carabinieri, su ordine della magistratura, hanno arrestato l’ingegner Mario Chiesa, 47 anni, socialista, presidente del Pio Albergo Trivulzio cui fanno capo la Baggina e i Martinitt, due istituzioni storiche che si prendono cura degli anziani e dei bambini senza genitori. L’accusa è gravissima: concussione, cioè aver preteso bustarelle approfittando del proprio ruolo di funzionario pubblico». All’interno c’è un articoletto firmato da Alessandro Sallusti, attualmente direttore del Giornale, che racconta le reazioni della giunta – lo sdegno e lo scorno – e riporta una dichiarazione di Bobo Craxi, figlio dell’allora segretario del PSI, che assicura: «Il partito socialista milanese è completamente estraneo»[1].
Nell’emeroteca della Sormani i quotidiani sono conservati in formato microfilm: la pellicola va infilata sotto un pesante macchinario di metallo pesante, tipo ghisa grigia, e sfogliata premendo due grossi tasti di plastica, nero per andare avanti e bianco per tornare indietro, o viceversa, non ricordo. Ma la cosa più straniante è che le pagine si compongono su uno schermo in negativo, le scritte sono bianche e lo sfondo nero, come se raccontassero un tempo al contrario. Invece nel febbraio 1992, a rileggere oggi i giornali, la maggior parte delle notizie continua ad accadere ininterrottamente da allora. Due giorni prima di Mario Chiesa, a Volla, in provincia di Napoli, viene arrestato per tentata estorsione il signor Riccardi, consigliere comunale socialista, uno che grazie alla sua minore centralità geografica e politica riuscì a schivare la storia. Qualcun altro, forse, ne intuì la direzione, ma si mosse troppo in anticipo e non riuscì ad agganciarla: proprio il 18 febbraio – la notizia è a pagina 5 – il telefinanziere Vittorio Mendella annunciò la nascita di un nuovo partito: «Si chiamerà “Rinascita italiana” e avrà come simbolo il volto del capitano di ventura Giovanni dalla Bande Nere». La comunicazione di Mendella, scrive il Corriere, sarà affidata a «un messaggio registrato su cassette, preparato nel suo rifugio dorato sulla Costa azzurra, e diffuso attraverso alcune tv locali». Berlusconi ancora si limitava a spronare il Milan in Coppa campioni. La sua «discesa in campo» sarebbe arrivata due anni dopo, il 26 gennaio 1994.
A pagina 12 il ministro di Giustizia Claudio Martelli «si scaglia contro “l’anarchia dei magistrati”», le sigarette aumentano di 100 lire e la Cassazione stabilisce che «urla, botte e tormenti in famiglia, anche se “saltuari”, portano in galera». Una donna al giorno viene ammazzata da un uomo, ma la parola «femminicidio» ancora non c’è. I titoli sulle efferatezze sono efferatissimi: Pietro Maso «ride» sempre, in ogni titolo e didascalia; a Vienna la polizia dà la caccia a uno «scrittore-assassino»; a Milwaukee l’omonimo mostro «squartava, uccideva e friggeva i corpi»; a New York si scopre che il corpo della ballerina Monika Beerle, uccisa nel 1989 da una setta chiamata The Church of Realized Fantasy, «venne fatto bollire e distribuito ad alcuni ignari barboni». Nella sezione Scienze si chiarisce: «L’animale dedito al cannibalismo mette a rischio la propria salute». I tre scrittori più venduti sono, nell’ordine: Alberto Bevilacqua, Stephen King e Ken Follett. Intanto, la globalizzazione incomincia a ridisegnare il mondo e la cronaca: «“Giustiziati” due immigrati”» a Reggio Calabria, «Duemila cinesi reclutati come schiavi» a Milano, «Latte, supermulta della Cee all’Italia?». «Bossi sogna la Lega primo partito del Nord». «Trovate in Carelia ossa misteriose: appartengono allo Yeti?». Il comunismo, intanto, continua imperterrito a crollare o a trasformarsi in qualcos’altro: «Cina. Dodici grandi magazzini apriranno filiali nelle Repubbliche della CSI», «Fidel ammette il tracollo di Cuba».
Ma la cosa impressionante sono le firme, che sono le stesse di oggi, come le facce. Non solo Sallusti, che allora era agli inizi: Aldo Grasso scrive in prima pagina quasi ogni giorno, una volta accusa Giuliano Ferrara di «guardonismo» e un’altra lancia allarmi sulla tv che «guarda solo se stessa, come in uno specchio»; Angelo Panebianco denuncia la «crisi delle istituzioni repubblicane»; e in prima pagina, accanto a Chiesa, c’è la notizia della condanna a Vittorio Sgarbi per assenteismo. Titolo: «I mali di Vittorio? C’è anche la diarrea».
Nella sezione «Milano di sera», a pagina 46, poco dopo gli articoli sulle tangenti al Pio Albergo Trivulzio, c’è la cronaca di uno spettacolo di Beppe Grillo al Teatro Smeraldo, che oggi è la sede di Eataly, e che esordì proprio il 18 febbraio, il giorno in cui scoppiò Tangentopoli. Il comico riceveva gli spettatori all’entrata e li classificava uno per uno, appendendogli al collo cartelli con le seguenti categorie: «Meridionale», «Bianco del Nord», «Ebreo», «Sieropositivo», «Caccia e pesca», «Leghista», «Panda comunista», «Pensionati vivi e moani», «Giornalisti Rai e loro amanti». Durante lo spettacolo, Grillo riceveva e commentava in diretta dal palco le telefonate della «gente arrabbiata». Internet non esisteva ancora, e neppure i telefonini, ma il meccanismo del creare consenso raccattando la rabbia era lo stesso di oggi. Il numero a cui chiamare era 1678-24100. Ho provato a telefonare ma non ha risposto nessuno, anche se per un attimo, come in un film del terrore, ho temuto di sentire la voce di Grillo, venticinque anni dopo. In un’intervista di qualche giorno prima, sempre sul Corriere, Beppe Grillo svela qualcosa che continua a svelare da allora: «È una mia scelta del tutto personale quella di non andare in tv». Soprattutto descrive già la politica come prosecuzione dello spettacolo con altri mezzi e conia una parola che oggi risuona come un primo abbozzo, piuttosto preciso, del suo programma, o almeno della sua comunicazione politica: «Siamo in gentocrazia e nessuno ha più timore di farsi avanti e dire la sua. Quando a Sanremo, in diretta dal Festival, ho dato del c… al direttore di un settimanale per l’intervista a un bambino rapito, e ho invitato chi la pensava come me ad alzarsi in piedi, quasi tutto il teatro è saltato su. Da allora chiamo direttamente in causa la gente, la faccio parlare, partecipare. Insomma quel fatto di Sanremo ha segnato una svolta nel mio rapporto col pubblico».
A pagina 7 Gianni Riotta intervista Francis Fukuyama, lo storico che dopo la caduta del Muro di Berlino aveva parlato di «fine della storia»[2].
*** Questo articolo è la rielaborazione di un estratto di un lungo racconto intitolato Atlante di un attimo, pubblicato nell’antologia Festa del perdono, Bompiani
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[1] Il 3 marzo 1992, il segretario del PSI Bettino Craxi dichiara al TG3: «Mi preoccupo di creare le condizioni perché il Paese abbia un governo che affronti gli anni difficili che abbiamo davanti, mi trovo davanti un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito che a Milano in cinquant’anni, non in cinque, ma in cinquant’anni, non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi contro la pubblica amministrazione».
[2] Francis Fukuyama spiega a Gianni Riotta: «Io parlo di Fine della Storia in senso hegeliano, vale a dire della fine del processo di contraddizione dello spirito umano che fa seguire una fase storica ad un’altra». La fine dello scontro tra comunismo e liberalismo per dettare la direzione e le regole della storia, coincide cioè per Fukuyama con la fine dell’idea della storia come processo spiritualmente e razionalmente necessitato.