«Papà Cervi purtroppo è morto»
Vercingetorige, il capo dei Galli, era per il bicameralismo perfetto, al contrario di Aliquaqua, re degli Ostrogoti, che propendeva per un monocameralismo temperato, mentre Spadines, il leader degli Aorsi citato da Strabone, si schierò per un’inedita riforma tricameralista in modo da far venir fuori un gran casino, e chi s’è visto s’è visto; il generale Giovanni De Lorenzo, numero uno del SIFAR, aveva il monocolo, il generale Moshe Dayan lo avrebbe tanto voluto, e l’eredità di Marco Pannella – dice oggi il tesoriere dei Radicali Maurizio Turco, intervistato dal Corriere – si concretizza in due monolocali a Riccione.
La disputa su che cosa voterebbero i morti al referendum costituzionale di ottobre non è soltanto ridicola e un po’ oscena, dice anche che il presente è così terrorizzato e confuso da se stesso da trasformare il passato in un idolo, in modo da interrogarlo e strumentalizzarne le risposte, facendosi dire esattamente quello che vuole sentire. È quello che avveniva con gli oracoli, a ulteriore dimostrazione che il passato – soprattutto quello più primitivo e superstizioso – in qualche strano modo permane, quasi mai, però, per insegnare qualcosa al presente.
In questi giorni di polemiche tra fantasmi – quelli di Ingrao e Berlinguer da una parte, e quelli dell’Anpi, dall’altra – continuo a ripensare a quel mio amico di Genova che una ventina di anni fa progettava di girare un video identico a Thriller di Michael Jackson, ma sulla musica di Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei (poi rifatta dagli Stormy Six, da Milva e, ovviamente, dai Modena City Ramblers). A rileggere quel testo, oggi, ci si rende conto che al posto dei nomi dei poveri Ovidio Franchi, Afro Tondelli, Marino Serri, Duccio Galimberti, Reverberi e Farioli e dei sette fratelli Cervi («papà Cervi purtroppo è morto», Bertinotti avvisò Berlusconi che si era detto felice di incontrarlo) potrebbero tranquillamente esserci quelli evocati oggi. Ancora una volta, ai morti viene intimato, come in una seduta spiritica, ma con le lacrime agli occhi e i pugni chiusi, di uscire «dalla fossa a cantar con noi Bandiera rossa».
Non ho nulla contro l’Anpi, ho pure fatto un libro di cui vado piuttosto orgoglioso con l’Anpi. Si intitola Io sono l’ultimo e raccoglie un centinaio di lettere in cui partigiani e partigiane – quelli ancora in vita sono qualche migliaio, purtroppo – raccontano un episodio della loro gioventù, che non è la mia e neppure quella dei 115 mila iscritti all’Anpi catalogati come «anti fascisti» e animati anche – non solo – dal desiderio, legittimo ma malinconico, di riscaldare il proprio mediocre presente al fuoco di un’epoca che non hanno vissuto. Si dice sempre – è diventato ormai un proverbio – che bisogna imparare dal passato. Ma se il presente conosce il passato, il passato non può sapere nulla del presente. Non è dunque in grado di giudicarlo né di dare consigli. Estorcerli a forza non è affatto gentile. La prima cosa che bisogna imparare dal passato, è che siamo vivi adesso, una volta per uno.