Chi era Mario Dondero, che arrivava e spariva
È morto Mario Dondero, uno dei più importanti fotografi italiani del Dopoguerra. Aveva 87 anni, ed era malato da molti anni. Era nato a Milano il 6 maggio 1929, ma diceva di essere genovese, ed è morto a Fermo nelle Marche.
Nessuno ha mai saputo dire esattamente dove fosse Mario Dondero. Chi ha frequentato la redazione di un giornale di sinistra – o almeno non di destra – alla fine del Novecento e all’inizio degli anni Duemila, sa che ogni tanto Dondero arrivava, spuntato dal nulla con la sua cortesia perfetta e la macchina fotografica, elegante di un altro tempo e quasi ovattato nel modo di parlare e sorridere, di essere curioso di tutti nello stesso identico modo, che fossero direttori, stagisti, baristi e segretarie.
Era galante in un modo incantevole ed estinto, quasi per educazione, e se glielo facevi notare sorrideva con gli occhi. Camminava lentamente, ma dava l’idea di uno che camminasse da sempre e avrebbe camminato per sempre. Non era difficile immaginare che nella sua vita si fosse lasciato alle spalle tante persone, seminando una scia di assenza e sofferenza. Ti raccontava senza vanità, con aria divertita, i suoi incredibili incontri: quando al tempo della Vita agra divideva casa con Luciano Bianciardi, la volta che andò da Samuel Beckett a Parigi o la guerra di Algeri, quando fotografò Francis Bacon inginocchiato nel suo studio a Londra – e poteva anche regalartela quella foto, per simpatia – o Pasolini e sua madre nella loro casa romana, come se il sorriso di uno fosse la proiezione nel tempo del sorriso dell’altra. E dopo averti raccontato di Sartre e del maggio francese, alzava la macchina fotografica e ti chiedeva il permesso di farti una fotografia.
Ogni tanto – soprattutto quando aveva bisogno di soldi – arrivava con l’archivio, che non era un vero archivio, ma una stratificazione disordinata di immagini che si era formata negli anni per accumulazione. Dentro c’erano foto meravigliose mai pubblicate prima e non ce n’erano di famosissime, perché per lui fotografare non era un modo per fermare il tempo e dare un ordine alle cose che accadono, ma per incontrare e conoscere altre persone. Una volta mi disse che a lui delle fotografie non importava granché: fotografare per lui era una buona scusa per continuare ad andare in giro e conoscere. Ha continuato a farlo fino all’ultimo, un po’ per sopravvivere, un po’ per non fermarsi, accettando libri e mostre e viaggi. In molti ricordano di essere stati fotografati da lui, ma non hanno mai visto né mai vedranno la foto. In fondo sappiamo tutti che non è stata quella la cosa importante, e che a Dondero la cosa che piaceva di più era arrivare e sparire.
foto: Akio Takemoto