Il pubblico ludibrio

Quando ho letto che Grillo voleva vivisezionare Dudù, d’istinto mi è venuto da ridere. Ma poi ho sentito il fragore di milioni di risate che rimbalzavano di monitor in monitor per milioni di case, ho avvertito la soddisfazione di una moltitudine che si coagulava ridendo intorno a una battuta violenta, e il sapore della risata è diventato sgradevole.

La prima associazione mi ha rimandato a un’antica popolazione della Sardegna che aveva l’usanza (si dice) di uccidere a bastonate i vecchi ridendo. L’espressione «risata sardonica» deriverebbe da qui.

maschera

In epoca fenicia nel Mediterraneo occidentale (Baleari, Cartagine, Sardegna e Sicilia) si diffondono maschere ghignanti legate probabilmente al rituale del riso sardonico

Si discute molto in questi giorni dell’aggressività della politica. Michele Serra, per esempio, si è chiesto se la violenza verbale prepari o contenga quella fisica. Elenca gli insulti – «assassino, nazista, nano, ebete, morto, pazzo, ladro, servo» – omettendo elegantemente di specificare chi li abbia pronunciati.

Il punto, però, è un altro: ancora nessuno, mi sembra, ha precisato che la novità politica non è l’insulto in sé, ma la metodica ridicolizzazione dell’avversario, il ricorso allo sfottò come arma di propaganda, il connubio tra insulto e risata.

Additare qualcuno al pubblico ludibrio è da sempre un’arma efficace di propaganda politica. Ma le pernacchie e le caricature sono sempre state strumenti a disposizione di chi non ha rappresentanza, non la pratica fondante di una forza politica che aspira a diventare maggioranza. Se diventa di massa lo scherno non è più un’arma contro il potere, diventa un’arma del potere.

A essere inedito è il ricorso massivo allo scherno, la sua propagazione istantanea e digitale, è il fatto che la presa in giro sia diventata la cifra politica di un movimento votato da quasi 10 milioni di persone e guidato da un leader che in quest’arte è maestro.

È qui la differenza. Per restare a Michele Serra, tra il titolo di Cuore «Hanno la faccia come il culo» e il Vaffa Day di Beppe Grillo passa la stessa differenza che c’è tra satira e politica, tra critica e proposta, tra buffone e sovrano.

Il fatto nuovo oggi in Italia è che un buffone (nel senso di comico) voglia farsi re senza rinunciare a fare il buffone, attraverso il ricorso alla derisione sistematica dell’avversario.

Perfino quando nel 1988 diceva all’extraterrestre nella pubblicità dello Yomo, «te ne dò un cucchiaino se mi dici dove hai la bocca», Grillo sfotteva. I suoi monologhi (Grillo ha fatto sempre e solo monologhi) funzionano grazie a un dispositivo comico che è rimasto identico da allora: compattare il pubblico contro un bersaglio facendolo ridere. Creare seguaci e consenso attraverso il sarcasmo.

Nessuno sfotte in solitudine. C’è bisogno di un pubblico che assiste, ride, si dà di gomito e a volte si eccita al punto da cercare l’approvazione del capo sparando spiritosaggini ancora più violente delle sue, come ha fatto il povero Vito Crimi twittando sul prolasso. La risata di scherno ha il potere di formare il gruppo, di creare una comunità politica, perché addita un nemico comune, un capro espiatorio, un colpevole assoluto, e nel ridicolizzarlo lo fa apparire vulnerabile e disumanizzato.

Il ricorso ai nomignoli è la tecnica base. Si inventano soprannomi o si storpiano i nomi veri. È un manganello linguistico utilizzato regolarmente dai giornali di destra degli anni Cinquanta tipo il Candido e il Borghese, e da opinionisti come Emilio Fede e Marco Travaglio. Ma è la prima volta che lo fa un leader politico contro altri leader politici. All’apparenza la tecnica è innocua, perfino simpatica. In realtà non riconoscere all’altro neppure il suo nome è un modo per rifiutare la sua esistenza, per sminuirlo come essere umano.

Prendiamo i soprannomi usati da Grillo:
Psico-Nano
Rigor Montis
Frignero, principessa sul pisello
Brunettolo
Gargamella
Capitan Findus
Pinocchio
Renzie
Ebetino
Big Jim
Pupazzo

Apparentemente si tratta di appellativi scelti a caso in virtù della loro forza comica. In realtà hanno un tratto comune: sono tutti personaggi immaginari, usciti dalle favole o dalla pubblicità, dai telefilm o dai cartoni animati. Sono appellativi che trasformano gli avversari, appunto, in pupazzi. Li trasformano in bambole voodoo da infilzare con gli spilloni in modo da esorcizzare il male del mondo. Negano il loro carattere umano. Li trattano come cose inanimate.

Non so se la violenza verbale prepari o sia un surrogato dell’aggressione fisica, come si chiede Michele Serra. So che negare l’umanità dell’avversario non ha mai portato a niente di buono.

Prendiamo gli epiteti collettivi:
Zombie
Mummie
Fossili
Larve ben pagate
Salme
Morti
Walking dead

Quando dall’individuale si passa al generale, l’intenzione si fa palese. Gli avversari da pupazzi si trasformano in mostri, non sono più esseri umani, e soprattutto sono già morti, il che significa che simbolicamente sono già stati uccisi.

Non sto dicendo che Grillo inciti all’omicidio politico. Non lo fa. Sostengo che la sua comunicazione è già di per sé un rituale di assassinio politico, per fortuna simbolico. L’antico slogan degli anni settanta «una risata vi seppellirà» con Grillo smarrisce il suo carattere libertario, e viene coniugato al presente: «Questa risata vi ha già seppellito».

Che il riso possa scaturire da un istinto di morte è già stato detto. Sul fatto che possa nascere da un sentimento di superiorità l’accordo è generale.
Aristotele: «La commedia è imitazione di persone moralmente inferiori».
Erodoto: «La risata connota un senso arrogante di superiorità».
Thomas Hobbes: «La passione di chi ride è l’improvvisa stima di sé che deriva dalla debolezza altrui».
Charles Baudelaire: «Il riso è satanico, dunque profondamente umano».
Henri Bergson: la risata provoca «qualcosa come un’anestesia momentanea del cuore».
Potrei continuare. E secondo Konrad Lorenz la risata è un’evoluzione rituale della minaccia.

Ma esiste anche un altro tipo di risata che non nasce da un sentimento di superiorità, ma scaturisce dal riconoscimento di una natura umana comune. Una risata che non esclude, ma include. Non è indispensabile che si rida di qualcun altro, della sua umiliazione o perché scivola su una buccia di banana. Si può ridere perché si riconoscono negli altri debolezze comuni. Non si ride di Stanlio e Ollio o di Charlot. Si ride perché le loro imperfezioni assomigliano a quelle di tutti.

In questi giorni si parla molto dell’energia  del Movimento5Stelle, è una specie di coro pre-elettorale che si propaga. Gipi sul Post ha scritto che dopo avere visto lo spot dei Cinque stelle ha pensato che avevano già vinto: “Avevano vinto perché erano perfettamente assolutamente contemporanei, fatti di una pasta e dotati di un gusto che mi risulta incomprensibile e forse per questo tanto mi disturba”.

Non so se questa percezione di energia sia esagerata, so che questa vitalità non ha nulla di contemporaneo e contiene in sè un nucleo di morte. Non bisogna scambiarla per il presente, tanto meno per il futuro, perché esprime il passato, la resa a istinti ancestrali , ai meccanismi della tribù.

È un istinto primitivo che torna a galla. La rinuncia a chiedere risposte complesse.

Non è un caso che le maschere ghignanti sardoniche siano identiche a quelle di Anonymous.

anony

La maschera di Guy Fawkes, il membro più noto della Congiura delle polveri che il 5 novembre 1605 cercò di fare saltare in aria la Camera dei Lord a Londra. Resa celebre dal fumetto “V for Vendetta” di Alan Moore e David Lloyd e, nel 2005, dal film di James McTeigue, è diventata il simbolo del network di attivisti e hacker noti come Anonymous

Il pubblico ludibrio è la forma primitiva del giustizialismo.

Quando Grillo ha detto che bisognava vivisezionare Dudù, ho ascoltato la mia risata rimbalzare di casa in casa, di gola in gola, sulle labbra di milioni di antenati ghignanti davanti al computer.

Giacomo Papi

Giacomo Papi è nato a Milano nel 1968. Il suo ultimo romanzo si intitola Happydemia, quello precedente Il censimento dei radical chic. Qui la lista dei suoi articoli sui libri e sull’editoria.