Casa Milan
Ieri sono stato a Casa Milan. La lettera d’invito firmata Barbara Berlusconi era vergata a mano in grafia svolazzante. La nuova sede, progettata da Fabio Novembre, sorge nell’area del Portello, una delle nuove zone di Milano. A pochi metri un tunnel avveniristico in costruzione annuncia mirabilie. Casa Milan ospita gli uffici amministrativi della squadra, il museo, la bacheca con i trofei, un ristorante e il centro commerciale. Aprirà al pubblico il 27 maggio. È un trapezio rossonero sulla cui cima, come pellerossa, silhouette antropomorfiche si esibiscono in svariati esercizi ginnici. Il complesso nel complesso si potrebbe definire Terziario Monumentale oppure “Leni Riefenstahl dei centri direzionali”.
All’entrata si accalca una folla di tifosi e famiglie senza invito. Dentro c’è il museo dove si possono ammirare sotto vetro la maglia di lana cotta di Liedholm, le scarpe di Massaro, palloni di cuoio e mazze da cricket di inizio Novecento, i Ray Ban di Arrigo Sacchi. Gli schermi alle pareti rimandano in loop i gol più celebri della storia del Milan in bianco e nero e a colori: Schiaffino, Nordhal, Rivera, Prati, Novellino, Sacchi, Gullit, Van Basten, Weah, Ibrahimovic. Alla fine della sala si accede in una cripta rotonda con i sedili d’oro dove sono esposti tutti i trofei vinti dal Milan nei suoi 115 anni di storia. In alto, proprio al centro del soffitto, uno schermo ripercorre le tappe dell’impresa, mentre l’oscurità si popola di stelle e scaglie di luce. Poco più in là, in una nicchia buia, si materializzano dal nulla ologrammi in 3D a grandezzza naturale di Baresi, Maldini, Shevchenko, Kakà che spiegano la filosofia del Milan. Un cuore rosso palpita nel buio ad annunciare l’apparizione dell’ologramma di Barbara in persona, che è tutta vestita di rosso, acchiappa il cuore e se lo ficca in petto a maggior gloria del Milan. Al mio fianco, la sorella Eleonora, tutta vestita di bianco, ma in carne e ossa, applaude orgogliosa.
Al terzo piano c’è lo shop con i gadgets: maglie, calzettoni, palloni, portachiavi, mutande, tazze, biciclette, calci balilla, orologi, accappatoi. Il pallone ufficiale dei Mondiali in Brasile (bellissimo) non è ancora in vendita. Ragazzi e ragazze immagine sono cortesi, discreti e solleciti. Ci invitano a trasferirci tutti al bar e in terrazza. È giunto il momento del cocktail di benvenuto. Quel che resta del Milan di Sacchi fa cerchio: Baresi, Tassotti, Massaro e Filippo Galli parlottano tra loro. Pippo Inzaghi si aggira nei pressi. Altafini scherza con Lodetti. Brocchi passa di lì. Un tipo potrebbe essere Minoia. Quell’altro è Gedeone Carmignani, ex portiere di Juventus, Napoli e Fiorentina, da decenni allenatore dei portieri itinerante. C’è il figlio di Galliani che indossa una camicia azzurra e ha i capelli bianchi. Lo si è visto crescere domenica dopo domenica, negli anni, seduto in tribuna di fianco a suo padre: ragazzino, metallaro, giovanotto, pre anziano. Accanto, come sempre, c’è Galliani.
È un’esplosione di spigati, cravattoni e nodi scappini. Il mondo del calcio presenzia: Maurizio Beretta, presidente della Lega di serie A, Giancarlo Abete, presidente della Fgci, Demetrio Albertini, vice presidente, Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. Fisso un signore con i baffi bianchi e gli occhi cerulei in doppiopetto maròn con un orologio da taschino d’oro, che non si sa bene da dove sia uscito. Assomiglia a Romeo Benetti. Le signore sono in lungo. Un capannello di asiatici confabula. Entreranno nell’azionariato? Geronimo La Russa, cooptato da Barbara nel Cda nonostante sia interista, chiacchiera con Fabio Novembre in t-shirt nera e abito rosso, nonostante sia interista anche lui. (Ma anche Silvio Berlusconi era interista prima di comprare il Milan). C’è Guido Podestà, il presidente della Provincia di Forza Italia. C’è Bobo Maroni, il presidente della Regione della Lega. È un profluvio di chiffon, toupet, tinture, dentiere e mocassini scamosciati con fibbia. Capisco di essere capitato nell’ultimo avamposto del berlusconismo. Il punto da cui l’avventura è incominciata e dove probabilmente terminerà. È un luogo sereno ed esclusivo, parecchio invecchiato, popolato di persone realiste e pragmatiche, sanamente avide, che hanno vissuto senza troppi patemi gli anni grassi e oggi si apprestano a lasciare in eredità ai figli gli anni magri, ben sapendo che per decenni non avranno nulla da temere. Abbranco scampoli di conversazione, si parla di affari, si fanno battute, convenevoli, ma tutti sembrano rilassati, forse meno sicuri e affamati, e un po’ più stanchi. Sono gli ultimi esemplari di un tipo umano, le ultime apparizioni pubbliche di una stagione e di un sistema di potere che si spegnerà piano piano e il cui tramonto durerà anni, ma che appare ormai condannato all’irrilevanza politica, culturale ed estetica.
Arriva Balotelli con la cresta, sorride e poi scompare come Mandrake. Mi guardo intorno. Aleggia nell’aria un senso generale di dismissione. Ho l’impressione di avere già provato questa sensazione di declino. Mi ritornano in mente I Buddenbrook di Thomas Mann. Alle riunioni della Lega Anseatica probabilmente spirava questa stessa esausta, declinante e sazia potenza.