Brexit e il problema del confine irlandese
In attesa che la bozza di accordo disciplinare su Brexit entri nella “fase due” dei colloqui, proviamo a capire quali sono gli aspetti più controversi di uno dei temi più complessi dell’accordo in discussione tra Unione Europea e Regno Unito. L’ultima notizia di un certo peso risale al 19 marzo scorso, quando il capo negoziatore della UE, Michel Barnier, ha detto che le due parti erano vicine su molti dei termini dell’accordo per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ma che sulla questione del confine irlandese le parti sono ancora distanti. I negoziati su Brexit sono iniziati nel giugno 2017 e l’uscita del Regno Unito dalla UE è prevista per il 29 marzo 2019.
Qual è la questione politica
Il governo inglese guidato da Theresa May vuole uscire dall’unione doganale comunitaria, ma vuole evitare di ricreare un “confine” tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda (stato membro della UE), come era stato fino all’Accordo del Venerdì Santo del 1998. La frontiera irlandese è lunga circa 400 chilometri e rappresenterebbe – dopo l’uscita del Regno Unito dalla UE – l’unico confine terrestre tra i due blocchi, a parte Gibilterra. Anche per questo aspetto il tema del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord è tra i più complicati: ci sono ragioni molteplici che non riguardano solo i due interlocutori principali, dato che i temi indiretti che coinvolge potrebbero ripercuotersi su altre situazioni relative ad altri Stati della UE, per esempio con la Spagna. Su questo tema sono previsti dunque dei negoziati successivi, anche se nell’ultima versione della bozza di accordo tra UE e Regno Unito c’è un accenno alla questione, secondo cui è concordato che se non sarà trovata un’intesa si dovrà comunque evitare il ritorno a un “confine chiuso” tra i due Paesi, mantenendo quindi di fatto la situazione com’è oggi.
I punti discussi
I punti su cui si sta discutendo sono 3: un futuro accordo di libero scambio, la ricerca di soluzioni tecniche e regolamentari sul confine e la partecipazione dell’Irlanda del Nord all’unione doganale europea. Ma se l’Irlanda del Nord dovesse rimanere nell’unione doganale comunitaria si verrebbe a creare un doppio impianto di regole interno allo stesso Regno Unito, visto che l’Irlanda del Nord ne fa parte. Se questa è la prospettiva (migliore) immaginata dalla UE, non lo è invece per il Regno Unito, che la considera una sorta di minaccia per il proprio ordinamento costituzionale. Inoltre, bisogna considerare che la legislazione attuale prevede che tutte le persone nate in Irlanda del Nord hanno diritto alla doppia cittadinanza.
La posizione della UE
Dopo l’ultima serie di colloqui l’Unione Europea ha detto al primo ministro inglese che l’Irlanda del Nord deve rimanere all’interno dell’unione doganale europea – e quindi anche nel mercato unico – anche dopo che il Regno Unito avrà lasciato il blocco. Un’altra soluzione, che Theresa May ha però negato fin dall’inizio della fase dei colloqui, potrebbe prevedere che tutto il Regno Unito rimanga all’interno dell’unione doganale europea e del mercato unico. Tra l’altro questa è anche la posizione di Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista all’opposizione, che con la sua mossa ha gettato ulteriori pressioni sulla posizione del governo May. La UE ha detto chiaramente che la questione del confine irlandese deve essere risolta prima che inizi la seconda fase di colloqui dedicata agli accordi commerciali tra la UE e il Regno Unito, mentre Theresa May – almeno all’inizio – auspicava di trovare lì dentro, in questa seconda fase, la possibilità di regolamentare anche la questione irlandese, all’interno di un nuovo quadro commerciale generale.
I possibili accordi specifici
Il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, si auspica che il rapporto futuro tra UE e Regno Unito possa assomigliare a quello che vige oggi tra l’Unione Europea e la Norvegia, che – in quanto membro dell’Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA) – fa parte del mercato unico. Con la Norvegia – così come con l’Islanda e il Liechtenstein – la UE ha fatto degli accordi specifici di collaborazione, che di fatto allargano il mercato unico comunitario a questi Paesi.
Dati economici, tra Irlanda e Regno Unito
Secondo uno studio di Copenaghen Economics gli effetti della Brexit sull’economia irlandese potrebbero incidere sul PIL dell’Irlanda con una contrazione tra il 2,8% e il 7% entro il 2030. Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo, riferendosi alla bozza di accordo ha detto che su questo punto (durante i negoziati) la UE adotterà un approccio “Ireland first”. Il quadro macroeconomico tra Irlanda e Regno Unito (dati 2016) ci dice che (per l’Irlanda) il Regno Unito rappresenta il secondo Paese verso cui si dirigono le sue esportazioni (dopo gli Stati Uniti), che il 13,5% del PIL irlandese è generato dalle esportazioni verso il Regno Unito e che nel Regno Unito vivono 348mila cittadini irlandesi, mentre 112mila britannici vivono in Irlanda.
Cosa vorrebbe Theresa May
Secondo quanto riporta RTE, Ireland’s National Television and Radio Broadcaster, il primo ministro Theresa May avrebbe garantito che non ci saranno «divergenze normative» sulle questioni chiave che riguardano la questione irlandese. Questo suggerisce che le regole della UE, relative alle procedure doganali e di frontiera, dovrebbero rimanere in vigore anche per il confine irlandese, anche se per arrivarci (o meglio, mantenerle) saranno necessari degli accordi specifici con il governo del Regno Unito. Su questo punto però May dovrà confrontarsi con il Partito Unionista Democratico, partito protestante di destra dell’Irlanda del Nord che alle elezioni britanniche del 2017 è diventato decisivo per la formazione del governo guidato proprio da Theresa May: il DUP non vuole dover accettare una serie di norme che lo renderebbero diverso rispetto agli altri Paesi del Regno Unito, tanto più se la ragione alla base è mantenere dei buoni rapporti con la Repubblica d’Irlanda. Su questo punto Arlene Foster, leader di DUP, ha avuto delle rassicurazioni dal primo ministro May, tanto che l’accordo con la UE è stato sospeso anche a causa di questo punto rimasto in sospeso.
Il piano di riserva
Proprio per evitare dei contrasti tra i Paesi del Regno Unito è iniziata a circolare l’ipotesi di un piano alternativo, sostengono alcuni diplomatici: un piano che si basa su una diversa formulazione della normativa, quasi giocando con le parole, per cui si possa passare da quanto detto da May («Nessuna divergenza normativa», rispetto alle norme in vigore oggi) a un “continuo allineamento normativo”: un allineamento da farsi una volta evoluta la materia, dopo l’uscita del Regno Unito dalla UE. Come questo possa risolvere i temi alla base della questione non è chiaro. Tutto ciò si fa ancora più complicato se si aggiungono le posizioni di Nicola Sturgeon (primo ministro scozzese) e di Sadiq Khan (sindaco di Londra), entrambi contrari a Brexit: se per l’Irlanda del Nord si faranno degli accordi specifici, allora li vorranno anche loro.
Gestire gli oltranzisti
La ricerca di un bilanciamento tra le posizioni delle parti non piace a una serie di membri del Partito Conservatore inglese, favorevoli fin dall’inizio a una “hard Brexit”, cioè a una netta cesura con le regolamentazioni della UE: il parlamentare Jacob Rees Mogg, durante l’audizione del primo ministro May dopo il suo ritorno da Bruxelles, le ha chiesto di tornare a marcare le linee rosse dettate dal partito (e sostenute da May in passato), pitturando di un rosso più acceso quelle stesse linee, diventate ultimamente – a suo dire – di colore rosa.
Una piccola via di fuga, a livello politico, potrebbe essere rappresentata da una modifica da apportare all’Accordo del Venerdì Santo, nella parte denominata “Strand 2: North/South Ministerial Council“. In questa sezione si delineano una serie di aree – tra cui l’energia, l’agricoltura, la sicurezza alimentare, i trasporti – in cui le due parti hanno stabilito delle regole speciali che si applicano solo all’Irlanda (sia a nord, sia a sud). All’interno di questo quadro si potrebbe quindi costruire e concordare un piano per alcune “norme reciprocamente riconosciute”, sulla falsariga delle altre materie. Va detto però che un accordo di questo tipo metterebbe in secondo piano la volontà del Partito Democratico Unionista, che a sua volta è fondamentale per la tenuta del governo May.
La lettera di Boris Johnson
Sky News ha pubblicato una lettera scritta da Boris Johnson, Segretario di Stato per gli Affari Esteri del governo inglese, indirizzata al primo ministro Theresa May, che ha creato un po’ di problemi al governo sulla gestione della questione del confine irlandese. In passato Johnson si è sempre detto contrario a una soluzione “hard” per il confine irlandese, mantenendo di fatto la linea dettata da May. Nella lettera però la sua posizione sembra essere cambiata, sostenendo che più di una netta posizione sul “no border” il governo si dovrebbe adoperare per limitare semplicemente alcuni punti ostici. Johnson ha sempre sostenuto che la questione del confine irlandese sia di fatto usata dalla UE per far rimanere tutto il Regno Unito all’interno dell’unione doganale europea e quindi nel mercato unico, generando così una Brexit zoppa.
Nella lettera ha cercato di minimizzare l’impressione – definita esagerata – di quanto importanti siano di fatto i controlli che avvengono al confine irlandese: anche se venisse reintrodotto un confine doganale, scrive Johnson, più del 95% delle merci passerebbe comunque senza essere sottoposto ai controlli. Inoltre, Johnson scrive nella lettera che l’Her Majesty’s Revenue and Customs – un dipartimento governativo non ministeriale del Regno Unito responsabile per la riscossione delle imposte – controlla solo il 4% delle spedizioni che arrivano dalla UE. Sky News scrive però che questi calcoli non tengono conto del livello molto più elevato di controlli, relativi al commercio agricolo e alimentare, che avverrebbero alla frontiera se le normativa non fosse più unica e standardizzata. In modo indiretto quindi (tenendo buono lo scenario della lettera) la posizione all’interno del governo (e di Boris stesso) potrebbe non essere più quella del “non si può tornare indietro, non si può tornare a un confine diviso dalla legislazione”, visto che – sempre secondo Johnson – questa legislazione impatterebbe in modo limitato sui traffici commerciali.