Perché è sempre colpa di Schengen?
Dimitris Avramopoulos è il commissario europeo per l’Immigrazione, gli Affari Interni e la Cittadinanza. Nel giugno scorso ha scritto un breve comunicato per celebrare la ricorrenza trentennale della convenzione di Schengen, firmata il 14 giugno 1985 fra Benelux, Francia e Germania. Gli Stati europei che aderiscono oggi allo Spazio Schengen (o Zona Schengen) tramite sottoscrizione diretta sono ventisei, a cui si devono aggiungere il Principato di Monaco, San Marino e il Vaticano. Anche Cipro, Croazia, Romania, Bulgaria hanno sottoscritto il trattato ma per essi non è ancora in vigore: cioè non sono stati ancora attuati tutti gli accorgimenti tecnici previsti dalla normativa e quindi sui loro confini mantengono i controlli delle persone alla frontiera. Questa estate ricorre anche il ventennale dall’abolizione dei controlli alle frontiere interne dell’Unione europea, come ricorda sempre il commissario Avramopoulos. Un caso strano se si considerano tutti i fatti avvenuti e discussi, proprio durante questa estate, sul tema dei migranti e delle critiche sollevate da alcuni leader europei verso la convenzione.
Il commissario Dimitris Avramopoulos ha definito lo spazio Schengen come uno strumento che negli anni ha portato molti benefici economici all’Europa, «un successo comune», uno dei pilastri dell’unità europea che definisce «irreversibile». Il tema dell’immigrazione è spesso associato alla convenzione di Schengen in quanto diversi partiti europei di estrema destra definiscono tale accordo come causa del grosso flusso di migranti a cui si è assistito negli ultimi mesi. Migranti provenienti principalmente dalle coste dell’Africa del nord e dai Paesi che confinano con gli Stati dell’Europa dell’est. La pressione sta crescendo soprattutto nei confronti di Italia, Grecia, Germania e Svezia: la Germania si aspetta di ricevere 800mila domande di asilo quest’anno, circa quattro volte di più rispetto al 2014. Il 20 agosto scorso Thomas de Maiziere, il ministro dell’Interno tedesco, ha avvertito che l’adesione alla convenzione di Schengen da parte del suo Paese può diventare insostenibile, a meno che altri Stati membri non si decidano ad accogliere una parte dei richiedenti asilo. Tra l’altro, il 21 agosto scorso l’agenzia per i migranti e i rifugiati della Germania (BAMF) ha pubblicato un documento in cui accetta di fatto di farsi carico di tutte le richieste di asilo dei migranti siriani.
Anche Charles Michel, il primo ministro del Belgio, ha chiesto una revisione della convenzione di Schengen a seguito dell’attentato sventato sul treno Amsterdam-Parigi: Michel ha proposto alle autorità europee di consentire maggiori controlli sull’identità dei passeggeri e sui loro bagagli per quanto riguarda le rotte ferroviarie internazionali, reintegrando a tutti gli effetti i controlli alle frontiere. A Calais – avamposto francese dove i migranti intraprendono il viaggio attraverso il Canale della Manica per raggiungere il Regno Unito – è stato creato un nuovo posto di controllo, a seguito di un accordo tra il governo francese e il governo britannico. Lo scopo è quello di contrastare più efficacemente il contrabbando e respingere i migranti durante i loro tentativi notturni di attraversare il canale. L’accordo tra Francia e Regno Unito prevede l’utilizzo di nuove forze speciali che dovranno fare controlli più stringenti sulle merci in traffico. Inoltre, saranno installati nuovi strumenti come recinti, telecamere e tecnologie di rilevamento a raggi infrarossi.
In Svezia c’è da mesi un clima di tensione nei confronti della popolazione rom, con tanto di attacchi armati verso i loro accampamenti. La maggior parte di questi gruppi proviene dalla Romania e dalla Bulgaria, quindi non sono passibili di controlli e sono liberi di recarsi in Svezia in quanto cittadini dell’Unione europea. Il governo svedese ha calcolato che i migranti rom sono circa 5mila. Il partito dei Democratici Svedesi, gruppo di matrice nazionalista in crescita nei sondaggi, chiede da tempo un risarcimento economico alle istituzioni europee per far fronte alle spese causate dalla popolazione rom. Nel 2014 i casi di violenza registrati dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità nei confronti dei rom sono stati circa 300, il 23 per cento in più rispetto all’anno precedente e la polizia ha dovuto aumentare le misure di sicurezza intorno agli edifici che ospitano i migranti richiedenti asilo, dopo un attacco in un negozio IKEA in cui sono morte due persone. Oltre ai migranti rom, nel 2014 la Svezia ha ricevuto circa 81mila richieste d’asilo da profughi provenienti dalla Siria e dall’Afghanistan. Infine, all’inizio dell’anno Mark Rutte, il primo ministro olandese, ha minacciato di voler espellere la Grecia (anche se non ha spiegato bene come) se avesse permesso ai migranti di passare attraverso i suoi confini per raggiungere il resto d’Europa.
Tutti questi fatti, che si susseguono ciclicamente, sono ogni volta il pretesto per criticare e mettere in discussione la convenzione di Schengen, anche se fino a oggi nessuna normativa è seguita ai proclami o alle critiche dei leader europei. A una situazione simile si era assistito per esempio nel 2001 quando i governi di Italia e Francia – temendo un afflusso incontrollato di migranti nordafricani – chiesero una revisione dell’accordo. Diversi analisti europei hanno iniziato ad affrontare la questione nel dettaglio, cercando di capire quali sono i limiti della convenzione di Schengen e quali sono invece i limiti di chi la critica. La maggior parte dei flussi migratori che passano attraverso gli Stati membri che si trovano più a sud (soprattutto Italia e Grecia) sono principalmente diretti verso nord. Soltanto Germania e Svezia, in questi mesi, hanno dimostrato un efficace impegno per fronteggiare le emergenze, a differenza di tutti gli altri Paesi dell’Europa del nord. E questo, in prospettiva, potrebbe rendere molto difficile la sostenibilità della situazione (e della convenzione), se non verrà attuata una più equa distribuzione dei migranti che richiedono asilo, in termini di solidarietà, tra i vari Stati membri.
Gli analisti politici notano poi che fra i vari organismi delle istituzioni europee manca un soggetto in grado di farsi carico della supervisione (e gestione) della situazione dei migranti, come è stato deciso per esempio nella gestione della moneta unica con la Banca Centrale Europea o il Meccanismo Europeo di Stabilità. Altri limiti si riscontrano nelle situazioni di pronto intervento, dove manca un soggetto forte europeo in grado di gestire l’assistenza umanitaria su più fronti, come fatto circa venti anni fa con i profughi dei Paesi balcanici. Sarebbe auspicabile, per esempio, un maggiore investimento economico su FRONTEX, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea. Per evitare di dover gestire pesanti crisi interne, legate alle migrazioni internazionali – sostengono gli esperti – le istituzioni europee dovrebbero migliorare le proprie politiche di vicinato. Gli eventi di Calais, Lampedusa e sul confine tra Grecia e Turchia dimostrano la necessità di trovare soluzioni più efficaci attraverso accordi con i Paesi dell’area. Gli strumenti previsti dalla convenzione di Schengen, per esempio, non sono sufficienti per arginare gli episodi di illegalità che avvengono nel Mediterraneo.
La sospensione della convenzione di Schengen è possibile solo per un numero limitato di casi: è prevista la possibilità di ripristinare i controlli alle frontiere per un breve periodo di tempo per ragioni di sicurezza nazionale o nel caso in cui un Paese ospiti eventi importanti, come ha fatto recentemente la Germania dal 26 maggio al 15 giugno scorso per il G7 tenuto a Garmisch-Partenkirchen. Le autorità europee non fanno che ribadire l’importanza della convenzione, tanto appunto da definirla irreversibile, e sembra proprio che i benefici che ha portato fino a oggi – «una manna per lo sviluppo economico», l’ha definita lo stesso primo ministro del Belgio che vorrebbe revisionarla – sembra aver prevalso sulla paura derivante dalla minaccia terroristica e sulla difficoltà nel gestire le emergenze umanitarie dei migranti. Più che revisionare la convenzione di Schengen – suggeriscono gli esperti consultati – sarebbe il caso di revisionare il regolamento di Dublino, divenuto in diversi casi anacronistico, come dimostra la decisione di sospenderlo da parte della Germania, al fine di accettare le richieste di asilo dei profughi siriani.
Il regolamento di Dublino è il documento principale adottato dall’Unione europea in tema di diritto d’asilo: è stato sottoscritto dai 28 Stati membri e da altri Paesi non membri. Tra le altre cose, il regolamento impedisce di presentare una domanda di asilo in più di uno Stato membro e prevede che la domanda venga esaminata nello Stato in cui il richiedente ha fatto ingresso. Per controllare se sono state presentate più domande in più Stati da parte di un singolo richiedente è stato anche istituito il sistema Eurodac: si tratta di un archivio comune delle impronte digitali. Questo tipo di sistema, inevitabilmente, comporta una pressione maggiore sugli Stati membri dell’Europa del sud, cioè i principali punti di ingresso dei migranti nella area Schengen.