L’economia è tutto un bluff
Oggi esce in libreria il mio nuovo libro intitolato Bluff Economy (edizioni Gruppo Abele). Ecco in anteprima il prologo.
Per farsi subito un’idea di come sia stato possibile che, nella seconda metà del decennio appena trascorso, scoppiasse una delle crisi economiche più acute e drammatiche di tutti i tempi, non ci vuole molto. Basta canticchiare la sigla della fortunata trasmissione di fine anni Ottanta di Renzo Arbore Indietro tutta: «Si, la vita è tutto un quiz e noi giochiamo e rigiochiamo, perché noi non ci arrendiamo fino a quando non vinciamo». A questo punto è sufficiente sostituire nell’incipit il titolo della canzonetta, la vita è tutto un quiz appunto, con la locuzione «l’economia è tutto un bluff» e il gioco è fatto. Ecco spiegato per sommi capi perché ormai da circa un lustro l’economia mondiale è caratterizzata da tensioni sociali, bolle borsistiche, mercati impazziti, disuguaglianze stridenti, disoccupazione galoppante che stanno bruciando il futuro di intere generazioni. Tutta colpa di una diffusa attitudine al bluff, perpetrata ad arte praticamente in tutti i settori della vita economica, con epicentro, evidentemente, nel mondo della finanza dove si è consumato il peccato originale con un ricorso forsennato a strumenti finanziari ad alto rischio.
D’altronde, un’espressione entrata da tempo a pieno titolo nel gergo economico è moral hazard, azzardo morale, che la dice lunga sul grado di “spregiudicatezza” di cui possono essere capaci molti operatori. E sulle principali testate è stata evocata spesso con titoli decisamente espliciti: «Una folle partita a poker»; «Se la finanza resta poker inevitabile la Crisi II»; «Marchionne su Fabbrica Italia gioca un poker all’americana»; tanto per citarne alcuni piuttosto recenti.
Naturalmente i modi di bluffare e gli esiti che essi hanno sortito sono molteplici. Una breve, esemplificativa carrellata aiuta a rendere bene l’idea: il bluff del mondo della finanza che ha mentito sulla pericolosità dei mutui subprime e dei derivati; il bluff delle agenzie di rating che hanno assegnato “voti” rassicuranti a prodotti finanziari spazzatura; il bluff di celebrate icone di Wall Street, come Bernard Madoff, che hanno truffato migliaia di risparmiatori; il bluff degli economisti che hanno ossessivamente decantato le virtù taumaturgiche del mercato e “taroccato” i modelli previsionali; il bluff di multinazionali come la BP, che ha causato immani disastri ambientali con la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico, non affrontando per tempo i pericoli di funzionamento a lei già noti della piattaforma estrattiva Deepwater Horizon, poi esplosa; il bluff delle aziende che si dichiarano imprese socialmente responsabili ma nei fatti razzolano male; il bluff di una non irrilevante fetta del settore nonprofit che, dietro proclami altisonanti, nasconde incapacità propositiva e assenza di “visione” imbarazzanti; il bluff di manager, politici, imprenditori che creano artatamente un continuo stato di emergenza, affinché possano poi agire con “mani libere” da vincoli e rispetto delle regole; il bluff nell’uso distorto e ripetuto di parole ormai totalmente annacquate di significato (un paio per tutte: crescita e competitività) ma utili a chi le pronuncia per fingere di essere interessato alle sorti del bene comune; il bluff di chi si riempie la bocca del concetto di meritocrazia, ma si industria o tollera che vadano avanti solo i “figli dei figli”; il bluff di certa informazione economica attenta a non disturbare troppo o affatto l’establishment (quando si trova nell’impossibilità di lodarlo smaccatamente).
L’elenco non si esaurisce certo qui. Anzi è ancora molto lungo. Ma credo già sufficientemente esaustivo per poter sottolineare un concetto alquanto semplice: i bluff si possono svelare in un solo modo: adoperandosi con tutte le forze affinché si possano andare a “vedere le carte”. Prima succede e meglio è per tutti. Il che, tradotto in concreto, significa fare in modo che questa domanda di chiarezza sia ampia, tempestiva, ininterrotta, qualificata, coraggiosa. E anche qui, titoli esemplificativi a vario titolo, non mancano: «Via il bluff, resta solo la recessione»; «Signora Merkel, basta con i bluff»; «Chi pagherà per i bluff di De Risio e Rossignolo?»; «È arrivata l’ora di scoprire i bluff»; «Murdoch, l’addio dello Squalo è soltanto un bluff».
Ci sono frangenti in cui una simile consapevolezza è difficile, se non impossibile, da costruire. Il vento della storia soffia da un’altra parte e rimane ben poco da fare, puoi sbracciarti quanto vuoi, additare il pericolo, mettere sul chi va là: è inutile, quasi nessuno ti ascolta. Ce ne sono altri, invece, in cui le “condizioni ambientali” sono più favorevoli allo scopo. E allora bisogna fare tutto il possibile per non sciuparle.
C’è un frammento di un carteggio, datato 15 dicembre 1949, tra Mario Pannunzio, il mitico fondatore del giornale Il Mondo e lo storico e antifascista Gaetano Salvemini, che riassume efficacemente questo sentimento. Scrive Pannunzio:
«Occorre che una certa opinione pubblica che si va oggi svegliando nel Paese, sia sollecitata, incoraggiata, per non dire addirittura violentata. Credo anche che questo sia il compito di alcuni gruppi di punta, i quali soltanto ora sono nelle condizioni di prendere iniziative».
Penso che anche oggi stiamo attraversando una fase in cui l’opinione pubblica si va svegliando da un lungo e disastroso letargo. Non bisogna lasciare, quindi, nulla di intentato per far sì che si volti pagina. Che si possa agire alla stregua di come accennò l’allora governatore della Banca d’Italia e oggi presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, in occasione di una sua lectio magistralis tenuta il 5 novembre 2010 ad Ancona per ricordare il grande economista Giorgio Fuà:
«Tornare a ragionare sulle scelte strategiche collettive, con una visione lunga. Cultura, conoscenza, spirito innovativo sono i volani che proiettano nel futuro. La sfida, oggi e nei prossimi anni, è creare un ambiente istituzionale e normativo, un contesto civile, che coltivino quei valori, al tempo stesso rafforzando la coesione sociale».