Prodi in tv

Dapprima è stato inevitabile, un po’ di nostalgia ha fatto capolino. L’avevo già messa in conto martedì sera apprestandomi, intorno alle 23, a vedere su La7 la prima puntata della trasmissione Il mondo che verrà con Romano Prodi.

Il ricordo, infatti, della sua precedente performance televisiva Il Tempo delle scelte, sei lezioni di economia andate in onda su Rai Uno nel 1992 dall’aula magna Santa Lucia dell’università di Bologna, era ancora ben vivo. Allora, fresco ricercatore a Nomisma, ero stato invitato insieme ai miei colleghi ad assistere alle registrazioni delle puntate. E quella che spiegava Prodi era l’economia che più mi appassionava, che metteva al centro le responsabilità dei suoi protagonisti verso il bene comune, che indicava rotte di sviluppo di lungo periodo, che si contaminava sapientemente con altri ambiti disciplinari, in primis storia e politica. Per cui, come tutte le cose che in qualche modo ci fanno tornare alla mente quando “eravamo giovani”, anche una trasmissione tv può essere, almeno per me, fonte di un velo di malinconia. Che, però, si è dissolto subito. Perché la crucialità degli argomenti affrontati nel nuovo programma, la consueta “esattezza” ed essenzialità di Prodi nel trattarli, la sua riconosciuta capacità di spostare anche sul futuro, in chiave costruttiva, ogni piano di riflessione, le ho ritrovate intatte. Così come la suggestività del luogo in cui sono state effettuate le riprese, lo Stabat mater dell’Archiginnasio a Bologna, e la volontà di coinvolgere i giovani, studenti e non (tre, di differente nazionalità, erano anche seduti attorno al suo stesso tavolo e gli ponevano domande, coordinate dalla brava conduttrice Natasha Lusenti).

Nella prima puntata, intitolata La sfida dei continenti, si è discusso di molte questioni, di Cina, di agroalimentare, di spese per gli armamenti, ma anche di professioni, di Europa, di crescita.
A proposito della crescita, a differenza delle recite e lagne “a pappagallo” di tanti nostri industrialotti e politicanti che la evocano di continuo ma ne ignorano completamente i presupposti, Prodi ha detto una cosa semplicissima e al contempo imprescindibile: «Conosco un solo modo per crescere: investire nella scuola, in ricerca e innovazione».

Efficace l’aneddoto sulla Cina che ha in portafoglio una cospicua fetta del debito americano e su quanto gli ha riferito personalmente il primo ministro cinese Wen Jiabao: «Noi siamo responsabili e per questo continuiamo a investire in titoli di stato americani, ma lo facciamo a patto che a capotavola, quando discutiamo con i nostri partner, ci siamo noi».
Meritevole di ben altra attenzione da parte della nostra classe politica il monito a dar vita a una nuova politica industriale (espressione che fino a ieri molti imprenditori e ministri persino ignoravano, confondendola con competitività): «La nostra manifattura è ancora solida e va sostenuta, certo la Germania è leader con un peso sul Pil del 26 per cento, ma mentre in Francia il rapporto è dell’11 per cento e in Gran Bretagna del 10 per cento da noi si assesta ancora su un buon 19 per cento».

L’ora scarsa di trasmissione è volata via veloce e piacevole. Non ci sono state risse, nessuno si è dato addosso, nessuno ha interrotto l’interlocutore di turno. Al contrario, ragionamenti e serie riflessioni hanno catalizzato l’attenzione. Che, a leggere ieri i dati auditel, è stata anche piuttosto alta: 4,2 per cento di share, pari a 579mila spettatori. Il che, per una seconda serata, è un risultato di tutto rispetto e la dice lunga sugli spazi televisivi che si potrebbero liberare nei palinsesti per una informazione economica di qualità.

Nella prefazione al libro di Prodi Il tempo delle scelte (che raccoglie i testi delle sei trasmissioni tv) Gianni Locatelli, uno dei migliori direttori che Il Sole 24 Ore abbia mai avuto e direttore generale della Rai ai tempi della presidenza Demattè, scrive: «Questo Tempo delle scelte è innanzitutto una scelta. La scelta di resistere alla corrente della disinformazione spettacolo arrampicandosi sull’argine saldo dell’informazione che è frutto di conoscenza, che è fatica di riflessione, che è sforzo di documentazione: una informazione, insomma, che non rinuncia a usare le spettacolari capacità del medium televisivo ma le usa per trasmettere conoscenza, invitare alla riflessione, fornire documentazione».

Pari pari vale lo stesso discorso oggi. Anzi, molto di più.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com