Aria di festa
«Se fossi guidato solo dal lume della ragione dovrei dire che il mondo va verso la catastrofe, che siamo sull’orlo dell’abisso. Tutti gli elementi che abbiamo sotto gli occhi ci prospettano scenari apocalittici. Ma nella storia dell’umanità esiste l’imprevisto, quel fatto inatteso che cambia il corso delle cose. Ecco perché, in fondo, sono ottimista».
Così parlava all’inizio di quest’anno, in un lungo colloquio con Anais Ginori di Repubblica il grande filosofo della complessità Edgar Morin.
E aveva ragione. Caspita se aveva ragione. Guardiamo a casa nostra. Appena poche settimane fa sembrava fossimo ineluttabilmente destinati a soccombere ancora a lungo ai diktat di Berlusconi, Bossi e della loro scalmanata “ditta”. Invece il voto alle amministrative ha fatto saltare il tappo, rimescolato le carte, scombussolato consolidati assetti di potere e ieri il trionfo dei referendum ha sancito un pieno, diffusissimo ritorno alla cittadinanza attiva.
Frutto di un imprevisto, come lo “inquadrerebbe” Morin? Di una concatenazione di eventi fortuiti che hanno innescato la valanga della partecipazione popolare? Forse, anzi sicuramente una parte di imponderabile in tutto questo c’è. Ma i cosiddetti prodromi perché ciò avvenisse erano tantissimi, bisognava solo annusarli, scorgerli, intelligerli. Adempiere al compito, cioè, che spetterebbe in primis, almeno sulla carta, a chi fa sul serio politica e, più in generale, si arroga il titolo di membro della classe dirigente.
C’è un dato che mi colpisce particolarmente in questi giorni di primavera (ma la tendenza vale, seppur meno accentuata, anche per le altre stagioni): l’enorme quantità di festival dedicati agli argomenti più disparati che si svolgono un po’ in tutta Italia. Ne cito alcuni, non esclusivamente “primaverili”: festival dell’economia, della scienza, della filosofia, del diritto, della letteratura, della matematica, del giornalismo, del giornalismo d’inchiesta, del cinema sociale, del cinema d’Africa, della teologia, biblico, del gusto, della mente, della salute, della storia, delle città di impresa, della formazione, dell’elettronica, di internet, della biodiversità, della poesia, della filologia, dei laghi italiani, della creatività, dell’eccellenza al femminile, dei libri sulle mafie (Trame festival), dell’innovazione, dell’immaginario, del fumetto, del circo contemporaneo, delle abilità differenti, degli anticorpi, dei bambini, della cultura psicologica, del jazz, dell’aria, della felicità, del fitness, dei giovani talenti, delle luci, dell’architettura, dei giardini, del turismo responsabile, della fantascienza di Trieste, del cinema ambiente, Foggia film festival, Otranto film fund festival, Taormina film festival, Ravenna festival, Franciacorta festival, Villa Arconati Festival, festival internazionale di Villa Adriana, Stresa festival, Milano film festival, festival di Massenzio, festival un’altra galassia-Napoli sotterranea, Italia wave love festival, festival Chiasso letteraria, festival del libro di Lissone e Brianza, eccetera, eccetera…l’elenco potrebbe continuare ancora molto a lungo.
Parte di questi eventi sono già giunti a un certo numero di edizioni, altri sono ai primi battenti, tutti comunque attestano una gran voglia di partecipazione, confronto, dialogo, interlocuzione aperta e allargata. Solo quelli che vivono in una torre di avorio, circondati da yes man, portaborse, addetti stampa che manipolano l’informazione non si accorgono della vita che fuori accade. Solo quelli che presenziano a eventi pubblici cloroformizzati da applausi preconfezionati, che parlano a convegni senza che sia previsto contraddittorio, che rilasciano interviste a patto di aver già concordato le domande, non si accorgono che c’è un Paese che pulsa e chiede di essere ascoltato e non fuorviato (penso anche a tanto marketing commerciale e a tante pubblicità che passano di questi tempi, per esempio in tema di banche).
È inevitabile che alla lunga una simile situazione non può reggere. E prima qualcuno, poi tanti, poi una moltitudine chiedono il conto. Allora basta ricordarsi della “dinamica” di Gandhi: «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci». Proprio quello che è accaduto con i referendum.