Civil servant
Mi addolora l’improvvisa scomparsa di Tommaso Padoa Schioppa. Lo stimavo molto come economista, come saggista ed editorialista, ma soprattutto come civil servant. È stato, infatti, un vero servitore dello Stato, come hanno sottolineato in tanti in queste ore, a partire dal Capo dello Stato Napolitano, nei loro messaggi di cordoglio.
Oggi suona come una sorta di appellativo retorico la definizione di civil servant. Se non, addirittura, come sinonimo di fesso. L’imperativo comune, si sa, è un altro: adoperarsi esclusivamente per il proprio tornaconto. Basta andarsi a rileggere le reazioni scomposte, irridenti, sprezzanti seguite a una delle sue più note affermazioni pubbliche, quella pronunciata in tv da Lucia Annunziata il 7 ottobre 2007: «Dobbiamo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione, l’ambiente».
Una frase detta, evidentemente, per avvalorare la necessità di rigorose politiche anti evasione e stravolta da quelli che stendendo un tappeto rosso agli evasori fiscali hanno costruito e consolidato il proprio consenso elettorale.
Con il risultato che oggi, in Europa, siamo nella terribile condizione di avere la più alta pressione tributaria, dopo Svezia e Danimarca e di detenere il primato assoluto dell’evasione fiscale. Con inevitabili ripercussioni anche sul debito pubblico che in ottobre ha raggiunto l’importo record di 1.867,398 miliardi di euro.
Ha scritto Romano Prodi sabato sul Messaggero: «L’elemento rilevante non è tanto la cifra assoluta di 1867 miliardi di euro (che pure è una cifra da capogiro) quanto il fatto che il debito pubblico sia aumentato del 5,9% dall’inizio dell’anno». Per questo, quando era tornato al governo nel 2006, si era scelto un vero mastino a guardia dei conti pubblici.
Ricorda Padoa Schioppa nel suo libro più recente “La veduta corta”: «Quando giurai da ministro nel secondo governo Prodi, il 17 maggio 2006, il mondo dormiva il sonno dogmatico della perfezione del mercato, si compiaceva delle “magnifiche sorti progressive”. L’allarme che subito lanciai sul debito pubblico italiano e sui mercati “che sentono l’odore del sangue” giunse come una sorpresa».
Con la sua consueta “veduta lunga”, tuttavia, Padoa Schioppa sapeva essere anche rassicurante e, per giunta, con efficace ironia, proprio mentre in tanti perdevano la testa. Per esempio, lo scorso 3 settembre, in una lunga intervista rilasciata a Fabrizio Forquet sul Sole 24 Ore, aveva detto: «L’ondata di panico strisciante che c’è stata in primavera era un’assurdità. Se lei va a vedere la lista dei paesi che hanno fatto default negli ultimi 50 anni si accorge che è una lista esigua e che non c’è nessun paese con le caratteristiche di quelli europei. I mercati sono in uno stato di agitazione tale che non sono i fatti a determinare il nervosismo, ma è il nervosismo che inventa oggetti di cui allarmarsi…L’isteria è fatta di questa stoffa. Per fortuna adesso il clima sembra cambiato, forse chi opera sui mercati finanziari è andato in vacanza».
Ricordando Padoa Schioppa non si può non citare anche un’altra sua “uscita” cult, quella in cui apostrofava come bamboccioni quei tanti ragazzi che, anche in età avanzata, continuavano a vivere a casa dei genitori e non si decidevano ad andare ad abitare per conto proprio. Quella sì che fu una definizione infelice, che denotava scarsa conoscenza delle reali condizioni di disagio di centinaia di migliaia di giovani i quali, giustamente, gliel’hanno duramente contestata. Ma si tratta della classica eccezione che conferma la regola. E la regola di Padoa Schioppa fu quella di essere un uomo come pochi al servizio del bene comune. Un autentico civil servant.