Elisabetta Gardini alla Consob
Adesso che Lamberto Cardia, a settantasei anni compiuti, si vede costretto a lasciare dopo 13 anni ininterrotti la guida della Consob perché, come ha scritto ieri Salvatore Bragantini su Corriere Economia, «non più umanamente prorogabile» (ma è sempre gagliardo per andare a presiedere le Ferrovie dello Stato), si potrebbe provare a “rivoluzionare” i vertici delle autorità di controllo. Prima che il suo posto venga preso dal già designato Antonio Catricalà, attualmente al vertice dell’Antitrust, un’idea ci sarebbe per rimettere in discussione accordi già definiti: nominare presidente dell’organismo di controllo dei mercati finanziari la eurodeputata del PDL Elisabetta Gardini.
Molti ricorderanno che la già nota conduttrice tv e poi parlamentare di Forza Italia, fu protagonista qualche anno fa di un’imbarazzante intervista di Sabrina Nobile andata in onda durante una puntata della trasmissione le Iene: «Cos’è la Consob?» chiese la Nobile. «La Consob?…» rispose la Gardini, «Hmm….Non lo so cos’è, me lo dica lei…». Apriti cielo, venne giù un tale diluvio di critiche e di sarcasmo che chissà se la Gardini si sia poi più ripresa.
Quattro giorni fa si viene a sapere che quando nel maggio 2006 fu quotata a Milano la Saras, operazione attualmente al centro di un’inchiesta della magistratura che vuole capire se il prezzo di collocamento delle azioni non sia stato sovrastimato (il collocamento avvenne a 6 euro per azione ma, dopo tale data, non fu mai più raggiunto un simile valore ed oggi il titolo veleggia sotto i 2 euro): i loro proprietari, i petrolieri Massimo e Gian Marco Moratti pare proprio che non si intendessero molto di finanza: «Devo confermare che non ci capisco un granché di Borsa e di valutazione di aziende» ha ammesso il patron dell’Inter davanti al pm che conduce le indagini. E ancora: «Non c’era necessità di quotarsi, la Saras e noi azionisti non abbiamo mai avuto un gran bisogno di chiedere soldi al mercato». E alla domanda, inevitabile, su come fossero stati impiegati i soldi ricavati (850 milioni di euro a testa), Massimo ha risposto al pm di non aver speso più di 50 milioni per l’Inter e di aver investito il resto, dapprima una cospicua fetta nella banca d’affari Jp Morgan e poi in titoli e immobili, mentre Gian Marco ha detto di averli depositati sui suoi conti.
Nei manuali di finanza si spiega che il principale motivo per cui ci si quota in Borsa è quello di approvvigionarsi dei capitali necessari a sostenere lo sviluppo dell’azienda. Il capitalismo anglosassone ruota attorno a questo cardine. E non è un caso che negli Stati Uniti il valore complessivo di capitalizzazione di Borsa superi, seppur di poco, quello del Pil americano.
In Italia, invece, siamo ad appena il 30% del Pil: il numero di società quotate è più o meno lo stesso di 25-30 anni fa, non ha mai superato le 300 unità e, chi decide di quotarsi non di rado si porta a casa un bel salvadanaio e lascia in azienda pochi quattrini: cinque anni e mezzo fa, per esempio, il settimanale Plus-Il Sole 24 Ore svelò che con la quotazione di Geox il proprietario Mario Poletti Polegato e suo figlio incassarono 262 milioni di euro, a fronte dei 13 milioni finiti nella società.
Inoltre, la stessa Piazza Affari che tre anni fa, proprio di questi tempi, siglava un accordo di integrazione con la Borsa di Londra, oggi mastica amaro perché si è resa conto che è nella City che decidono un po’ tutto.
Se, nonostante gli esperti e i super consulenti di mercati finanziari, di banche d’affari, di authority che circolano copiosi dalle nostre parti siamo ancora a questo punto, allora può andar bene anche la Gardini alla presidenza della Consob.
Almeno, nel dichiararsi ignara della sua attività, ebbe il coraggio di arrossire lievemente.