Feuilleton pornographique (10) – The show must go on.
In “Feuilleton pornographique” si narra a episodi la vicenda di due fratelli, per la precisione di un fratello e una sorella, di nome rispettivamente Claude e Claude. Entrambi lavorano nell’industria pornografica, in ruoli diversi e con scopi opposti. A raccontare la loro storia sarà Frank Spiegelmann, produttore, proprietario della “Perverse Angels” e uomo fondamentalmente orrendo. Tutto inizia, si svolge e finisce all’interno del grattacielo della casa di produzione. Non è un racconto erotico – se a leggerlo non è un pervertito.
Qualcuno potrebbe riconoscere in qualche personaggio qualcun altro, ma sarà un caso: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Episodi precedenti: Premessa dell’autore • 1. Il migliore • 2. Un’infanzia qualunque. • 3. Un increscioso incidente segna l’inizio di una fulgida carriera • 4. Nell’occhio del Beholder. • 5. Claude e Claude. • 6. Scene da un matrimonio • 7. Eva Bolena. • 8. Inviti dall’alto e dall’altissimo. • 9. Si brinda anche col Graal, se mancano i bicchieri.
10. The show must go on.
Claude ed Eva sedevano ai due estremi del grande divano del regista, davanti all’ampio schermo televisivo. La puntata del Marthy Luther Show cui era stata invitata la donna fu registrata due giorni prima, e per la serata della diretta Claude organizzò un ritrovo familiare a casa sua, con sorella e moglie. Considerato com’erano andate le cose presso gli studi televisivi, Mindy non se la sentì di opporre resistenza, e anzi si dedicò con cura alla preparazione di un piccolo buffet. I due fratelli sedevano immobili davanti agli spot pubblicitari, e prima che cominciasse lo spettacolo, la padrona di casa servì un vassoio di tartine e prese posto sul divano, vicino al marito. Poco dopo, suonò la sigla del Marthy Luther Show; lo spettacolo stava iniziando. I tre rimasero in silenzio, mentre la luce dello schermo illuminò i loro visi con intermittenti colori sgargianti. La presentatrice, Marty Luther, entrò nello studio tra gli applausi. Era una donna di colore, sui trent’anni, magra e slanciata. I lineamenti del viso partecipavano della perfetta compostezza tipica d’una modella; erano belli e stanchi, sfiniti dalle cure eccessive, e s’incastravano nella massa dei capelli rosso fuoco come in un rubino spigoloso. La sobrietà dell’abito, una bianca camicetta accollata con sopra un gilè, non lasciava indovinare il fisico della presentatrice; gli spettatori però lo conoscevano bene dai giornali, e immaginavano quelle forme sinuose frusciare sotto ogni vestito. Marthy introdusse brevemente gli argomenti della serata e mandò in onda una breve presentazione su Eva – una selezione di scene dai backstage, in cui la ragazza si aggiustava il trucco – dal titolo “nella mente di una pornostar teenager”. Una voce fuori campo commentava così: «Non credereste mai cosa una ragazza sia disposta a fare per denaro». Poco dopo, apparve una brevissima anteprima dell’intervista, in cui alla domanda «Perché?», Eva rispondeva con la consueta immobilità, «Perché è bello». La presentatrice introdusse poco dopo il secondo servizio, una drammatica testimonianza sulla prostituzione minorile, in cui a immagini di ragazzine che battono le strade di un’imprecisata metropoli si alternavano stralci d’intervista a una quattordicenne in lacrime.
Nessuno dei tre spettatori aprì bocca, il servizio su Eva incominciò. Ancora una volta a introdurla fu un filmato, che iniziava con «…a vederla è una delle tante collegiali…» e immagini di Eva che legge un libro (senza titolo), per poi proseguire con «…in soli due mesi è apparsa in oltre venti filmati per adulti…» e immagini (censurate) delle scene di sesso più estremo cui la ragazza si era sottoposta. Terminata la clip, apparvero Marthy ed Eva, sedute sul grande divano a L dello studio televisivo. L’immagine di Eva, in jeans blu, scarpe da ginnastica e maglietta rosa – praticamente una divisa porno – stonava come l’infiltrarsi di fotogrammi erotici in un talk show, e le due donne non sembravano far parte dello stesso mondo, quasi fossero due razze diverse, chiamate a un inconciliabile confronto.
«Se intervistano un minatore, lo mandano in onda con elmetto e piccone?» commentò Claude, ma le due donne non risposero, e mantennero lo sguardo inchiodato allo schermo. L’intervista ebbe inizio.
«Allora Eva, tu hai ventunanni» disse Marthy, mentre la camera si avvicinava al divano dove erano sedute le due donne.
«Esatto» rispose Eva.
«Ventunanni, e sei apparsa in oltre venti filmati pornografici»
«Più o meno»
«Nel vederti qua accanto mi ricordi una mia compagna di scuola, sai?»
Eva sorrise appena. Il suo viso era inquadrato esclusivamente mentre l’intervistatrice poneva le domande, e invadeva lo schermo con enigmatica, dolorosa inespressività.
«Mi racconteresti del tuo primo film? Eri emozionata?»
Eva rispose con sincerità. Al suo volto, che forse solo il fratello avrebbe saputo leggere come “divertito”, la regia alternò lo sguardo sconvolto di alcune ragazze nel pubblico – soprattutto quando raccontò di Tagliabove.
«…e hai fatto anche quello?» l’interruppe la presentatrice.
«Ho fatto tutto.»
«Tutto?» chiese Marthy, distorcendo il volto tra stupore e disgusto.
«Tutto» rispose Eva calma.
«Ci sapresti dire cos’è una gang-bang?»
Eva si spiegò, calma e precisa. In quel momento mi accorsi di come assomigliasse al fratello; i due avevano la medesima attitudine nei confronti delle domande, e rispondevano con naturalezza e tranquillità, esponendo qualsiasi contenuto con pacata precisione. Prima che finisse, fu nuovamente interrotta.
«…dunque sei stata con più di quindici uomini contemporaneamente?» i visi delle giovanissime tra il pubblico erano allibiti.
Eva la corresse: «Contemporaneamente no; ma nell’arco di una scena, questo sì.»
«E cosa dice tua madre di tutto questo?»
Da questo punto del programma, l’intervista non visse solo grazie al montaggio, ma anche attraverso dei veri e propri tagli. In veste di produttore cinematografico, sarei un ipocrita se scrivessi che inserirò quel che manca “per amor di verità”. Ogni rappresentazione della realtà è una menzogna, e tutti noi, che ne vediamo solo una faccia, non possiamo neanche immaginare cosa si celi sotto la più salda delle certezze. Se potessimo guardare gli abissi che vi si annidano! Siamo e resteremo ciechi, e se anche potessimo vedere, scopriremmo di camminare di notte. Ma sullo schermo questo processo passa in mano nostra – perlomeno in parte – e dunque si gonfia d’ulteriori menzogne. Mi pare che fosse stato Jean Luc Godard a dire: “ogni montaggio è una bugia”. La frase è incompleta; tutto il nostro teatro è una menzogna che mente, e nel prender le briglie in mano anche noi ci comportiamo come la stessa natura – o il dio – che malediciamo. Eppure il nostro mentire nasconde un’inestinguibile sete di verità, l’illusione che il ripercorrere l’atto del mentire possa smascherarlo, e portarci d’un passo più vicino alla verità. Forse esagero, e non era mia intenzione divagare; mi limito dunque ad annotare che d’ora in poi scriverò in corsivo quelle frasi che non apparvero sullo schermo, ma che i tre spettatori dissero o udirono durante le registrazioni.
«Mia madre ha risposto “ok”» rispose Eva.
«… “Ok”?»
«Sì. È una donna di poche parole»
«E davvero non ha problemi con la tua scelta?»
«No. O meglio, probabilmente ne ha. Nessuno è mai come vogliamo che sia. Nemmeno noi stessi lo siamo. Per una madre, continuare ad amare, che si tratti di amore sincero o meno, è la massima forma di rispetto e la migliore delle recite.»
«E tuo padre invece?»
«Lui non ha detto nulla»
«Un’altra persona di poche parole?»
«Oh no, lui parla, parla anche troppo!» disse Eva con un calmo sorriso «Per questo il suo silenzio fu significativo. Credo volesse dire che non poteva dire quel che pensava»
«E cosa pensava?»
«Che non voleva che lo facessi, ma non apprezzava i motivi per cui non lo voleva»
«Forse erano abituati a tuo fratello.» disse Marthy, e si rivolse alle telecamere «Già, perché anche il fratello di Eva, Claude, lavora nell’industria pornografica. Si tratta di uno dei più stimati registi del settore, e abbiamo la fortuna di averlo nel pubblico». La presentatrice sottolineò con fastidio la parola “stimati” e “fortuna”, poi la telecamera si spostò su Claude.
«Buonasera Claude. Lei che pensa della carriera di sua sorella?» chiese Marthy al regista.
«Penso che sia una sua scelta»
«Questo lo sappiamo, ma la condivide?»
«Condividerla non so, la rispetto» e aggiunse «Com’è buona norma per tutte le scelte che non ledono gli altri».
«Forse dice così perché anche lei lavora nello stesso ambiente, ma dubito che altri al suo posto la vedrebbero allo stesso modo».
«Le persone sono troppe per vederla tutti allo stesso modo» rispose Claude, lievemente irritato. E aggiunse: «Può essere che abbiano ragione comunque. Anch’io in fondo credo che il mio lavoro, come quello di mia sorella, sia in parte condannabile. Come anche il suo del resto, signora Luther. Abbiamo qualcosa in comune; lavoriamo per lo spettacolo, e lo spettacolo non è mai pulito.»
«Che intende dire?»
«Il nostro lavoro è creare illusioni e guadagnarci denaro. C’è qualcosa di sporco in questo, le illusioni possono fare male. Noi plasmiamo le menti, signora Luther – lei più di noi a dire il vero – e guardando al modo in cui si contorce quest’umanità agonizzante, direi che le nostre responsabilità di padri siano gravissime, non trova?»
La sorella sorrise, il volto della presentatrice si contrasse per una frazione di secondo, poi rientrò nella propria attraente maschera. Non rispose a Claude, e si rivolse direttamente alla sorella, dilaniando la bocca in un sorriso materno.
«Eva, sei molto giovane. Io mi auguro che in futuro tu possa guardare a tutto quel che stai facendo adesso come a un errore, e che ti affrancherai da questo stile di vita»
Eva, ora visibilmente irritata, rispose con durezza: «Non c’è nulla di male nella mia vita. È il frutto di una mia scelta, non fa soffrire me né gli altri;perché mai dovrei pentirmene?»
Il pubblico esplose in un «oooh» e Marthy rincarò la dose: «Perché ti accorgerai che ti stanno sfruttando, cara! Sei lo strumento attraverso il quale persone come lui guadagnano milioni!». Detto questo, la camera si spostò astutamente su di me. Dico astutamente, perché il mio aspetto strappò un nuovo «oooh» indignato al pubblico.
Ho cercato di evitarlo, ma ormai è necessario che mi presenti; mi chiamo Franco Spiegelmann, e sono un uomo orribile. Sono alto poco più di un metro e mezzo, calvo, con qualche capello rossiccio attaccato al cranio. Inoltre sono grasso, flaccido, ho il naso a patata e la bocca sottile; i miei occhi piccoli, di taglio orientale, sono privi di qualunque bellezza esotica, e mi rendono simile a un grasso felino malato. Nonostante questo sono circondato da bellissime donne, e, se volessi, le potrei cogliere come mele su un albero che dio ha posto alla mia altezza. Il motivo è che sono il proprietario della più grande compagnia pornografica al mondo – e di mille altre cose, tra immobili, ristoranti, alberghi e case di cura. Dico questo non per vanità, ma per spiegare la scena che seguì sullo schermo, quando Marthy mi chiese:
«Signor Spiegelmann, è vero che lei fa milioni grazie a questa donna?»
«No» risposi, e ottenni un terzo indignatissimo «oooh».
«Non faccio ancora milioni grazie a lei. Ma se continua così, ne farò » corressi. Marthy era disgustata, si rivolse nuovamente a Eva e le disse: «Vedi Eva? Tu lavori per arricchire uomini come lui».
«È il mio datore di lavoro, anche lei arricchisce il suo» rispose la ragazza calma.
«Non certo allo stesso modo!» rispose indignata la presentatrice.
«A dire il vero» aggiunsi io «Adesso Eva sta arricchendo anche lei».
Eva prese il telecomando e cambiò canale. Il suo viso, reso bluastro dalla luce dello schermo, rimase impassibile, ma dei lievi sussulti le scorsero sotto la mascella. Sapeva che sarebbe andata così, ma si sentì comunque umiliata, tradita.
«Non è andata male come credi, Claudine» le disse il fratello «Devi pensare attraverso le leggi dello spettacolo: ora sei famosa. Era quello che volevi».
Mindy si alzò dal divano per portare il vassoio altrove, e, una volta alle spalle di Eva, le passò delicatamente una mano sulla spalla. Avrebbe forse frenato quel gesto, se le avesse visto il volto, mentre si piegava in un tagliente sorriso; «Sono famosa» si disse.