Feuilleton pornographique (4) – Nell’occhio del Beholder
In “Feuilleton pornographique” si narra a episodi la vicenda di due fratelli, per la precisione di un fratello e una sorella, di nome rispettivamente Claude e Claude. Entrambi lavorano nell’industria pornografica, in ruoli diversi e con scopi opposti. A raccontare la loro storia sarà Frank Spiegelmann, produttore, proprietario della “Perverse Angels” e uomo fondamentalmente orrendo. Tutto inizia, si svolge e finisce all’interno del grattacielo della casa di produzione. Non è un racconto erotico – se a leggerlo non è un pervertito.
Qualcuno potrebbe riconoscere in qualche personaggio qualcun altro, ma sarà un caso: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Episodi precedenti: Premessa dell’autore • 1. Il migliore • 2. Un’infanzia qualunque. • 3. Un increscioso incidente segna l’inizio di una fulgida carriera.
4. Nell’occhio del Beholder.
Vorrei ricordarmi la data, perché credo abbia un valore che trascende sia i miei interessi che quelli di chi segue i destini di cui parlo. Purtroppo però, non ho un’ottima memoria, e rammento solo che era un freddo pomeriggio di un autunno insolitamente caldo. Claude si trovava presso gli studi della zona soprannominata Luna, al quarantanovesimo piano della Perverse Angels; una parte dell’edificio adibita perlopiù a studi e uffici legati alla pre- e post produzione dei nostri video. Presto o tardi dovrò descrivere la particolare struttura del palazzo in cui ci troviamo; per ora basti sapere che gran parte del quarantanovesimo piano era dedicato ai provini e la scritturazione di aspiranti porno star. Claude, per la precisione, era nel Beholder, un ampio ufficio cilindrico circondato da una moltitudine di stanze più piccole, tutte uguali, chiamate sorelle. Da questa grande sala centrale era possibile monitorare, grazie a un capillare sistema di telecamere, ogni remoto angolo delle sorelle, dove generalmente si svolgevano i provini. Al centro del Beholder vi era una saletta cubica – a detta di molti piuttosto inquietante – chiamata l’Occhio del Beholder. Le pareti interne di questa stanzetta erano interamente ricoperte da schermi di varie dimensioni, come le variegate mattonelle di un bagno. Per il resto era completamente vuota, eccezion fatta per una poltrona rotante posta al centro, dalla quale era possibile osservare (a prezzo di un feroce mal di testa) tutto quel che accadeva nelle sorelle. Non solo; l’accensione degli schermi, le inquadrature, l’audio, tutto era regolato dagli addetti nella sala esterna, e comandato localmente da chi sedeva al centro dell’Occhio. Persino la posizione della poltrona era modificabile mediante comandi vocali, in modo tale che se si voleva vedere in una determinata sorella, poniamo la tre, bastava dire “tre” e la sedia si spostava per porre gli schermi giusti davanti agli occhi. Dall’Occhio del Beholder Claude riusciva a gestire decine di provini contemporaneamente, e, grazie a dei microfoni nascosti, impartiva comandi e suggerimenti agli operatori che i candidati si trovavano di fronte.
Quel giorno Claude sedeva sulla poltrona come sua abitudine, simile a una dea Kalì, con mille braccia, occhi e bocche per controllare e gestire un esercito di candidati. Ogni suo comando era recitato dagli operatori, che obbedivano come se fossero le mani attraverso le quali muoveva quell’oceano di carne. La sua voce rimbalzava fredda da un lato all’altro della stanza:
«Quattro. Spogliati e mettiti di fronte al divano, a tre metri dal tavolo.» «Anche le mutande?» «Certo, non siamo mica al mare.»
«Due. Come ti chiami?» «Katja Kosslen» «Quanti anni hai?» «Diciotto» «Avrei bisogno di vedere un documento d’identità»
«Sei. Toccale il seno con entrambe le mani, poi baciale la bocca»
«Uno. Né i muscoli né la dimensione contano.» «Che cosa conta allora?» «Durata e controllo.» «Durata e controllo?» «Durata e controllo. Sei sicuro di poterlo mantenere così per più di un’ora e davanti a dieci persone?»
«Quattro. Girati, il posteriore davanti a me, grazie».
«Due. Loro lo sanno?»
La capacità di Claude di gestire più di venti aspiranti assieme era impressionante – ma d’altra parte era il migliore. Credo che i suoi film abbiano portato l’industria pornografica su un altro livello, tanto che, come nelle più alte manifestazioni di un genere, riuscirono sia a trascenderlo che a rivoluzionarlo. Non dubito che in futuro scriveranno fior di saggi sulla sua opera, e a farlo saranno persone ben più competenti di me. Mi permetto comunque di sostenere che il suo più grande merito, perlomeno per me – e dunque l’industria – fu l’invenzione e lo sviluppo del genere dei “casting”.
«Quattro. Più avanti, sul tavolo.» «Così?» «Perfetto»
«Uno. Se non ci riesci davanti a me, pensi di riuscirci davanti a dei cameramen?» «…è l’emozione.» «Non c’è emozione in questo lavoro. Solo durata e controllo.»
«Sei. Ti piace perché ti piace o perché sono io a chiederlo?» «Perché mi piace.» «È una bugia» «Perché me lo chiedi.» «Anche questa è una bugia» «No, dicevo, perché me lo chiedi se sai che mento» «Perché è mentire che ti piace.»
«Due. È difficile godere della vendetta. Credi di esserne in grado?» «Sì» «Descrivi il piacere nella vendetta.»
«Uno, quattro. Fine provino.»
«Sei. Sei mai venuta fingendo di venire?» «Sì» «Benvenuta a bordo.»
«Due.» «È freddo e intenso come una lama.» «No. È solitario e doloroso come una lama.» «Però è anche freddo e intenso.» «No. È intenso. Ma caldo, caldissimo. Brucia le lacrime».
Guardarlo all’opera era uno strano spettacolo. Ponendo le sue parole in bocca ad altri, sembrava che abituasse gli aspiranti allo schizofrenico distacco che avrebbero vissuto in futuro; in un certo senso, egli introduceva una recita nella recita, creando una sovrapposizione di verità e menzogna simile agli strati geologici che col passare dei secoli nascondono i resti di antiche civiltà. Eppure – devo ripeterlo – il suo più grande colpo di genio fu di presentare come prodotto finito quel che abitualmente era solo una preparazione a un prodotto, il casting appunto. Inventò una sorta di ready-made che palesava come la finzione perfetta coincidesse con la verità.
«Due.» «Perché lo odi?» «Non mi capisce» «Odi anche i cinesi?» «Che c’entrano i cinesi?» «Neanche i cinesi ti capiscono.»
Le volte in cui ne aveva l’occasione, Claude godeva nel penetrare nelle menti degli aspiranti. Sosteneva che fosse spiazzante, per individui pronti a spogliarsi (e oltre) venir messi a nudo in luoghi inaspettati. D’altra parte, era anche convinto che si trattasse dell’ingrediente necessario per un genuino, generico eccitamento, che poi la nudità avrebbe portato su un inevitabile binario erotico. Davanti alla candidata della sorella numero due Claude trovò pane per i suoi denti; si trattava di una ragazza graziosa, poco attratta dalla carriera di attrice ma smaniosa di vendetta nei confronti della famiglia, dell’ex ragazzo e del mondo in generale, che avevano come dubbio torto il non riconoscere che fosse più bella e interessante di chiunque altro. Claude vestì l’intervistatore con parole atte a manifestare questa volontà, poi a rifiutarla, e infine desiderarla come se la vedesse per la prima volta. Fisso davanti allo schermo, gioì nel costatare come proseguivano le cose; ne stava venendo fuori uno splendido provino.
Qualcosa però distolse di colpo la sua attenzione; furono due natiche femminili che intravide sugli schermi della sorella numero nove.
«Nove».
Le rotondità che apparsero sullo schermo lo trasportarono mille miglia fuori dal proprio ruolo, dal lavoro, dall’Occhio del Beholder, dalla stessa Private Angels; Claude precipitò in un luogo mai visto, eppure fastidiosamente familiare.
«Riconoscerei quel culo ovunque.» «Come scusi?» «…Claude?» «Ci conosciamo?»
Lo sguardo interrogativo della sorella era fisso sull’intervistatore, e di riflesso su Claude, che la vedeva a pieno schermo. Il regista pregò l’operatore, che poco prima aveva ripetuto le parole sfuggitegli inavvertitamente, di cancellare l’audizione.
Claude era la sorella minore di Claude (poi spiegherò perché avevano lo stesso nome) più piccola di sette anni. Da quando egli si trasferì a B… ebbero contatti sporadici, perlopiù durante le feste o in qualche rara telefonata. Si può dire che non si vedessero da due anni, e per il regista fu una sorpresa riconoscere sullo schermo quel familiare fondoschiena.
«Mandate la signorina nel mio ufficio al quarantanovesimo piano.»
Claude uscì dalla stanza, affidò i provini all’assistente e si diresse in uno degli uffici del Beholder, chiudendo la porta dietro di sé. Ripensò al posteriore della sorella, rimastogli indelebilmente impresso negli occhi. Claude era una ragazza carina; leggermente più alta di lui, con un viso chiaro incorniciato da lunghi capelli castani. La testa un po’ troppo grossa si posava su un corpo snello e non molto formoso; soprattutto il seno era minuto, e s’indovinava a malapena sotto i vestiti. I piccoli occhi intelligenti, incastrati sotto folte sopracciglia brune, donavano al viso una sensualità piuttosto fredda, soprattutto se qualcosa suscitava in lei un sorriso strafottente. Nel complesso il regista non la trovava bellissima, gli sembrava anzi che avesse un che di algido, immoto e antierotico; ma forse il semplice fatto che fosse la sorella neutralizzava in lui ogni possibile fascino. Eppure anch’egli non poteva negare la bellezza del suo fondoschiena, tondo, carnoso e ben scolpito – semplicemente perfetto. Molti anni prima, quando la ragazza era in un’età incerta tra l’essere una bambina e diventare una donna, capitò che uno sguardo casuale accendesse in lui una debole scintilla di desiderio, tanto che un giorno arrivò a chiederle di non girare per casa mezza nuda com’era sua abitudine, dato che, le disse, «Ormai sei una donna». Ottenne un sorriso e una risposta arrogante: «E tu ormai sei un maiale».
E ora la donna si presentava alla Perverse Angels per un provino. Sapeva che lui lavorava lì, dunque perché non avvertirlo? Credeva davvero che non lo avrebbe scoperto? La sorella non era il tipo né da imbarazzi né da sorprese. L’uomo non riuscì a spiegarsi quel comportamento, sebbene neanche lo stupisse. Era come se dall’ “ok” con cui la ragazza accolse il suo progetto anni addietro, egli avesse capito che la pornografia faceva parte anche del suo futuro. Il fratello maggiore però si sentì scavalcato, infastidito e imbarazzato per l’improvvisa apparizione; si trattava del suo territorio, e lei non si era neanche degnata di comunicare quella decisione. Quando Claude bussò alla porta, fu accolta da un ruvido «Avanti» e uno sguardo in tralice. Questa scortesia però, come apparentemente qualunque altra cosa, non le fece alcun effetto.
«Ciao Claude» disse.
Prossimo episodio: Claude e Claude