Feuilleton pornographique (3) – Un increscioso incidente segna l’inizio di una fulgida carriera.
In “Feuilleton pornographique” si narra a episodi la vicenda di due fratelli, per la precisione di un fratello e una sorella, di nome rispettivamente Claude e Claude. Entrambi lavorano nell’industria pornografica, in ruoli diversi e con scopi opposti. A raccontare la loro storia sarà Frank Spiegelmann, produttore, proprietario della “Perverse Angels” e uomo fondamentalmente orrendo. Tutto inizia, si svolge e finisce all’interno del grattacielo della casa di produzione. Non è un racconto erotico – se a leggerlo non è un pervertito.
Qualcuno potrebbe riconoscere in qualche personaggio qualcun altro, ma sarà un caso: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Episodi precedenti: Premessa dell’autore • 1. Il migliore • 2. Un’infanzia qualunque.
3. Un increscioso incidente segna l’inizio di una fulgida carriera.
Claude tenne fede alle proprie parole; si recò a B… due giorni dopo il dialogo coi genitori e studiò presso l’allora prestigiosa facoltà di H…
Per quanto si dimostrò un ottimo studente, laureandosi nei tempi previsti e col massimo dei voti, la sua carriera universitaria fu contraddistinta dallo stesso distacco che segnò la propria infanzia; il ragazzo era determinato, ma privo della bruciante ambizione che muoveva la maggior parte dei colleghi. Claude visse gli studi come una fase di passaggio, utile ma non decisiva, e vi prestò quindi un’attenzione distratta, come a un paesaggio che si attraversa prima di giungere alla meta. La competizione tipica dell’ambiente universitario non lo sfiorò; davanti alla cabala dei voti e alla rincorsa a chi più interveniva, egli vestiva un’aria di superiorità, quasi fosse un professore in incognito, iscrittosi all’università per osservare le abitudini degli studenti. Questo atteggiamento cambiò una volta che fu più vicino allo scopo; assunto dalla Perverse Angels fece di tutto per guadagnarsi la fiducia della società, e cercò di apprendere con ingordigia tutto quel che c’era da imparare.
Lo ricordo ancora, agli albori della carriera, quando lavorò come aiuto regista al suo primo film – credo fosse Sperm Assassins vol.10, con L… e M…, in arte Ellen Saint e Mindy Fay. Premetto che il primo set pornografico fa un certo effetto a chiunque, e lui non fu da meno; eppure ebbe una reazione decisamente fuori le righe.
Quando entrò nello studio di registrazione, non trovò nulla d’insolito rispetto a ciò che si trova in un qualunque set: tecnici, luci, camere, fili, oggetti, assistenti, attori e attrici. L’unica differenza – tutt’altro che trascurabile – è che gli attori erano nudi, e mettevano in scena le più svariate pratiche erotiche. Non nego che lo strisciante desiderio di Claude fece sì ch’egli non riuscisse a staccare gli occhi di dosso dalle ragazze. Tra le nuove starlet quello sguardo sottilmente bramoso generò adulazione e imbarazzo, mentre le più navigate pensarono che si trattasse del solito novellino, o più probabilmente non pensarono nulla – d’altra parte ignorare il resto del mondo è la base di questo lavoro. In entrambi i casi comunque, l’attenzione morbosa di Claude non conobbe freno, e giacché gli ordini impartitegli dal regista (tale Dick Cumming, non ricordo il nome reale) suonavano pressappoco: «Ok, resta qua e guarda. Se poi ti chiedo qualcosa, fallo», il giovane non fece altro che obbedire e osservare.
Inizialmente la cosa lo mise in un certo imbarazzo, soprattutto quando Mindy Fay gli si piazzò davanti chiedendo del ghiaccio per inturgidirsi i capezzoli. Claude non riuscì a distogliere lo sguardo dal seno prosperoso dell’attrice, mentre si arrovellava senza successo per risolvere l’enigma. Mindy rise divertita, e lo apostrofò: «Me li vuoi rizzare col tuo sguardo di ghiaccio, cowboy?», al che Claude, ovviamente, avvampò in viso. Ma queste sono bazzecole, in confronto all’episodio del caffè, che rese tristemente memorabile la sua prima esperienza alla Perverse Angels.
Debbo premettere che tra le poche mansioni “da fare se richieste” affidate al ragazzo, ci fu, come da prassi, il compito di servire i caffè. Stavano per girare una delle ultime scene della giornata, la squadra era stanca, il regista nervoso, le attrici impazienti di andarsene e gli attori di venire; insomma, nessuno ne poteva più, come dopo una qualunque giornata di lavoro. Con in mano un vassoio contenente dodici tazze di caffè, il riflessivo neofita vagava traballante come un capro pronto a essere officiato; l’operazione non richiedeva né attenzione né concentrazione, eppure il ragazzo pareva ubriaco, e pencolava con lo sguardo assente, lasciando intendere che quelle tazze di carta fossero pesanti come bronzee lame sacrificali. Aveva già servito la nona tazza, scongiurando in parte l’ingiustificato allarme che lo circondava, quando si avvicinò all’attore maschile, K…, in arte Jesse Wonder, per porgergli un caffè amaro. Jesse era nudo come un toro, immobile, impregnato dalla flemma di chi si controlla per mestiere. Quel colosso di cento chili spostava malvolentieri anche un grammo della sua massa muscolare, e il suo sguardo, simile a quello di un Atlante, non tradiva la traccia di un solo pensiero. Vedere le sue pupille da bove dilatarsi, distogliersi dall’infinito, muoversi febbrilmente, poi lampeggiare d’un fuoco animale, appassionato; tutto questo non accadde mai in un filmato; eppure successe allora, quando Claude lasciò scivolare un flusso di caffè bollente sul suo membro eretto, seguito dal piccolo bicchierino di carta vuoto, che rimbalzò sul pene con un tòc.
Il caos che seguì è difficile da descrivere; le urla di Jesse, il via vai della troupe, le strilla (forse anche le risa) di Ellen e Mindy, l’accorrere del medico di scena per verificare l’accaduto. Claude rimase tutto il tempo in disparte, silenzioso e contrito, balbettò appena delle parole di scusa. Il regista lo fissava truce e sospettoso, mentre l’incidente si dissolse col perentorio «Niente di grave, niente di grave!» del medico, seguito dal timido «Sto bene… sto bene ora…» dell’attore. La scena fu ovviamente cancellata, e poco dopo aver congedato la troupe Dick fece un cenno a Claude, che di certo si aspettava di essere redarguito o scacciato. Il regista lo prese in disparte, lo guardò fisso negli occhi e disse, con un tono basso e perentorio:«Perché lo hai fatto?». Claude lo guardò sorpreso, lui continuò: «Ti ho visto ragazzo. Sei stato bravo, ma ti ho visto».
Estrasse una sigaretta da un pacchetto ammaccato e l’accese. «Sono anni che filmo persone fingere cose che nemmeno t’immagini, e ora tu vieni qua e pensi di darmela a bere? È vero, hai lasciato che il bicchiere scivolasse distrattamente, con un lieve inciampo dei piedi e delle mani. Persino con gli occhi sei riuscito a suggerire che si trattasse di un drammatico incidente, posandoli prima sul pavimento e poi sul… ma a me non mi freghi, ragazzo. Le mani! Le tue dita, godevano nel far scivolare ogni singola goccia di caffè bollente!» Afferrò con la mano il braccio di Claude, e concluse, quasi fosse un argomento inconfutabile: «Hai persino alzato il mignolo.»
Claude rimase interdetto, poi abbassò lo sguardo e ammise: «Hai ragione. Solo che… ti sembrerò pazzo, immagino, eppure… ho pensato che il “caffè accidentale sulla maglietta” fosse il più celebre cliché di apertura per una scena di sesso. Sai, quella in cui “Oh! Scusa!… aspetta, levatela… così ecco… dammi che la metto a lavare… ecc ecc”. Jesse però era nudo, e non ci si può spogliare della propria pelle. Allora mi sono chiesto: che cosa potrebbe accadere? La situazione potrebbe spingersi al parossismo, investita da un banale preambolo? Gli attori possono spogliarsi di più? È possibile, colpendoli a morte con una frase banale, gettarli in un domino inarrestabile?». Alzò lo sguardo sul volto stupefatto dell’interlocutore e aggiunse: «Io non credo di averlo fatto realmente apposta. Questi però erano i miei pensieri, e… non so, è possibile che una parte di me abbia creduto che valesse la pena tentare».
Ora, per capire la reazione di Dick è necessario aggiungere un appunto su una caratteristica comune a ogni regista pornografico: l’assoluta certezza di essere il più grande artista vivente. Quest’affermazione non deve essere fraintesa; non si tratta solo di vanagloria. Certo, molti tra loro sono poco più che relitti, dei vigliacchi pretensiosi, privi della forza e il coraggio di portare avanti una ricerca cui sacrificare il proprio misero ego. La nostra industria accoglie a braccia aperte questi scarti delle muse; è solo qua che possono mettere a frutto le proprie mediocri competenze e sentirsi piacevolmente incompresi in eterno. Si può dire che siamo il convento più ospitale cui bussare; in cambio di manovalanza poco specializzata offriamo vitto, alloggio, e l’impagabile salvezza di sentirsi ospiti benvoluti tra le piaghe più purulente e profonde della società: il grembo di viziosi e prostitute, vera patria degli artisti. Da noi questi creatori mancati trovano l’umanità che non sono riusciti a esprimere nelle proprie opere, e nel riconoscerla s’illudono persino di averla capita. Eppure, in questa massa di falliti, ci sono rari casi di autentici geni incompresi, così come tra i diecimila manoscritti scartati da una casa editrice c’è sempre un Kafka o un Joyce.
Per quanto Dick facesse parte della prima categoria, era un uomo intelligente e onesto. Persone come lui, che amano sinceramente quel che avrebbero voluto essere, fanno di tutto per vederlo realizzato anche in altri; si tratta di una forma raffinata d’innamorato egoismo, che ha forse contribuito a inventare l’illusione dell’altruismo. Per questo motivo, davanti alla delirante spiegazione di Claude, Dick riconobbe il fuoco genuino di un artista al lavoro e disse: «Prometti di non farlo mai più, e ti affido il prossimo film», lasciando il ragazzo senza parole.
Con questo sfortunato episodio, iniziò la veloce ascesa di Claude nel mondo del porno. Una descrizione dettagliata della sua carriera toglierebbe spazio ai fatti che mi costringono la penna in mano; se la tragedia del caffè fu il principio del successo, un casting avvenuto all’apice della carriera segnò l’inizio della tragedia. Finisco dunque questo lungo preambolo, aggiungendo solo una nota riguardo a Jesse Wonder. Egli non ebbe a lamentare alcun danno permanente, sebbene non poté recitare per le due settimane seguenti; negli anni a venire non rivolse mai la parola a Claude, e si rifiutò di recitare in ogni suo film. In compenso non minacciò né ritorsioni né denuncie – tutt’ora ne ignoro il motivo.
Prossimo episodio: Nell’occhio del Beholder