Feuilleton pornographique (2)
In “Feuilleton pornographique” si narra a episodi la vicenda di due fratelli, per la precisione di un fratello e una sorella, di nome rispettivamente Claude e Claude. Entrambi lavorano nell’industria pornografica, in ruoli diversi e con scopi opposti. A raccontare la loro storia sarà Frank Spiegelmann, produttore, proprietario della “Perverse Angels” e uomo fondamentalmente orrendo. Tutto inizia, si svolge e finisce all’interno del grattacielo della casa di produzione. Non è un racconto erotico – se a leggerlo non è un pervertito.
Qualcuno potrebbe riconoscere in qualche personaggio qualcun altro, ma sarà un caso: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Episodi precedenti: Premessa dell’autore • 1. Il migliore •
2. Un’infanzia qualunque.
Non è un mistero che ogni fine abbia bisogno di un inizio. Per comprendere la portata degli eventi che si susseguirono dall’arrivo di Claude a B… – eventi di cui attendo il tragico epilogo – non posso dunque tralasciare la sua infanzia.
Bombardato sin da giovanissimo da stimoli contraddittori all’interno del nucleo familiare, Claude si annodò in un gomitolo di caratteristiche inconciliabili, ben strette l’una sull’altra. Dalla madre ricevette la tendenza all’introspezione e una spiritualità deviata, che si declinò in lui nella forma di una riservatezza vicina all’ascetismo. Dal padre invece assorbì la dialettica inarrestabile, alluvionale, che a differenza del genitore egli utilizzava di rado, perlopiù per difendersi dagli attacchi esterni.
Grazie a questa dote, quel ragazzetto intelligente, timido e un po’ isolato non visse mai la piaga della derisione, che toccò a tanti adolescenti suoi pari. Bastava che qualcuno si rivolgesse a lui in tono canzonatorio, che la sua lingua, generalmente ben chiusa in bocca, guizzava velenosa e ripugnante come un rettile. Il fanciullo dall’aspetto innocuo e un po’ sfigato si trasformava così in una trappola per topi, e chi vi incespicava veniva apostrofato con frasi a tal punto umilianti e azzeccate, da lasciare paralizzato anche il più crudele dei bulli. Nonostante questo dono però, il disinteresse che Claude dimostrava per le tipiche occupazioni dell’infanzia – anzi, per qualunque occupazione – non fece mai di lui un leader; egli in un certo senso non esisteva, era fuori dai giochi, degno di attenzione quanto l’erba sotto i piedi o il cielo sopra la testa. Capita però che l’azzurro del cielo divenga in rare occasioni a tal punto azzurro da attirare l’attenzione di chi abitualmente lo ignora; allo stesso modo egli attraeva talvolta lo sguardo di qualche compagno, che lo trovava inaspettatamente simpatico e piacevole. Nonostante questo però, nessuno lo cercava mai, perlomeno non senza un tacito invito.
Mi rendo conto di dipingerlo come un giovane misantropo; non è del tutto vero. In fondo, Claude amava la compagnia. Al gioco della società civile però, preferiva una ben distribuita presenza dei corpi, come nelle panchine di una piazza o tra i tavoli di un bar. Egli era solo tra i soli, e forse per questo sembrava meno isolato di chi, come noi, ha penato per ritagliarsi una particina nella recita collettiva. A ostacolare le sue tendenze autistiche interveniva inoltre una forte passione per le donne, un indubbio retaggio paterno sulle cui caratteristiche m’interrogo spesso. Questa bruciante attrazione, unita al fatto che a mantenere coesa la sua contraddittoria identità fossero le pure e semplici sensazioni, segnò sin dalla gioventù una singolare condanna: egli “sentiva e dunque era”, e non poteva cambiare se non cessando di sentire.
Di questa sopita passione comunque, la famiglia (eccezion fatta per la sorella) era senza dubbio all’oscuro. Non c’è da stupirsi, considerato come vivevano separati l’uno dall’altro, quasi avessero un comparto stagno tra le parole che si scambiavano e il loro significato. Fu alla luce di questa vicendevole riservatezza che il momento in cui Claude comunicò ai genitori le proprie risoluzioni non poté che assumere un aspetto grottesco.
Era una sera d’inverno di circa tredici anni fa, il giovane, poco più che maggiorenne, aveva appena terminato gli studi presso il Liceo di F… . Non escludo che qualche opaco fiocco di neve svolazzasse fuori dalla finestra, sciogliendosi poco prima di toccare terra; l’atmosfera aveva un che di morbido, quasi natalizio, nonostante fosse il due Novembre del più caldo inverno di sempre. Marie sedeva come d’abitudine sul divano di pelle, e dondolava lo sguardo disattento da un angolo all’altro dello schermo televisivo. Il padre sedeva poco distante, davanti alla scrivania di legno; era assorto su una qualche carta – dio solo sa se uno dei tanti progetti mai avviati o la lettera di un’amante – quando Claude aprì perentorio la porta.
«Vi devo parlare» disse il ragazzo. I due si limitarono a voltare lo sguardo verso di lui, con lieve stupore.
«Ho preso delle decisioni sul mio futuro: andrò a vivere e a studiare a B… . Non vi chiedo un sì o un no e nemmeno un supporto economico; ho vinto una borsa di studio e risparmiato qualche spicciolo negli ultimi anni».
Claude spendeva pochissimo, non per avarizia, quanto per il summenzionato disinteresse che nutriva per le cose del mondo.
«Inoltre, ho dei contatti per un lavoretto, con cui supplirò ai miei bisogni materiali. Una volta terminati gli studi, non tornerò a F… ma resterò a B…, dove cercherò un impiego come regista presso uno dei più grandi studi pornografici al mondo.»
Sia il padre che la madre alzarono un sopracciglio, per motivi opposti.
«Non preoccupatevi: non sono un pervertito – non più di voi. È un lavoro come un altro, e non lo farò né per sesso né per denaro, per quanto sia probabile che otterrò entrambe le cose». I due non riuscirono ancora ad aprire bocca, e il giovane proseguì il discorso.
«Un buon genitore si augura che il figlio stia bene e abbia successo. Vi prometto entrambe le cose, dunque non siate in pena per me o per le mie decisioni – peraltro irrevocabili» sottolineò la parola “irrevocabili”, poi concluse: «Questo è quanto. Partirò tra due giorni, ho già il biglietto. Mi farò vivo ogni tre per telefono, e tornerò a trovarvi durante le principali festività».
Solo allora il padre aprì bocca, nel tentativo di esprimere la propria opinione: «Claude, io…»
Fu interrotto dalla moglie: «Bene. Buona fortuna, sono certa che saremo fieri di te». Detto questo la donna tornò a oscillare le pupille sullo schermo accesso, e il padre, non trovando altro da dire, si limitò a sorridere al ragazzo, per poi tornare alle sue carte.
In quel momento si affacciò in salotto anche la sorella. Indossava una tuta blu che le fasciava le forme acerbe, in mano teneva un vasetto di yogurt e in testa un paio di cuffie, con cui ascoltava una musichetta in voga a quei tempi. Percepì l’evento trascorso come se fosse il vento di un treno appena sfrecciato; sollevò il voluminoso auricolare, si appoggiò allo stipite della porta e chiese, con un tono di voce leggermente troppo alto: «Che è successo?».
«Claude va a B… a studiare. Vuole fare il regista porno», rispose la madre distrattamente. La ragazza guardò il fratello, ingoiò una cucchiaiata di yogurt e annuì.
«Ok» disse. Poi rimise le cuffie e uscì dal salotto, seguita da Claude, che si diresse nella propria stanza.
Tutto in salotto rimase come se Claude non fosse mai entrato; le sedie, la televisione, le carte, i corpi afflosciati dei genitori. Ogni oggetto restava immobile eppur teso, come a rappresentare un rebus; Marie, il padre, le carte, la finestra, l’inverno, ogni oggetto era in ansia, come un silenzio che cerca di parlare.
Fu la voce della donna a smuovere il quadro di questi rapporti congelati: «Sono preoccupata per Claude» ammise.
Il marito sollevò lo sguardo dai suoi fogli, si sfilò gli occhiali e disse, pronto a tuffarsi in un’ordita invettiva: «Non angosciarti Marie, è come hai detto tu prima. Claude è un ragazzo intelligente e saprà cavarsela. Senza contare, insomma, che oggigiorno si tratta davvero di un lavoro come un altro. Capisco, ecco, se volesse far l’attore, allora forse… metti il caso di vederlo, di trovarselo su uno schermo, così, mentre… sì, sì, capirei l’imbarazzo – pur non giustificandolo. Ma così, un regista, una mano invisibile, che guarda e non tocca, parla senza che mostrare la bocca… che male c’è? Senza contare poi, che tutto questo mettere il sesso sotto i tappeti, se non ci fosse la religione e quel suo tizio, lì, il papa! Basta spostarsi a Oriente! Pensa al Kamasutra! Sì, sì, la sessuofobia è una malattia teologica, te lo dico io, un altro modo per impedire il libero pensiero di noialtri, che ci affanniamo tra gli ingranaggi del sistema, per farli girare come dovrebbero, e non così, non così…». La donna lo interruppe con un cenno.
«Non mi hai capito,» gli disse «Non Claude lui, Claude, lei.» e fece un cenno col capo verso la porta, in direzione della camera della figlia.
«Ah!» disse l’uomo. «Che ha fatto lei?»
«Nulla, nulla per l’amor di Dio!» rispose Marie «È che… non so, non so. Ha qualcosa che… come una fame, un gelo…»
«Non ti capisco Marie.»
«Lascia fare, mi sbaglierò io, mi sbaglierò io.» concluse la donna, e si rimise a guardare la televisione.
Prossimo Episodio: Un increscioso incidente segna l’inizio di una fulgida carriera.