Considerazioni sul massacro
Circola l’opinione che i missili X-22 russi caduti, negli ultimi giorni, sul centro commerciale di Kremenchuk, su Kyiv, Odessa e altri villaggi e cittadine del centro dell’Ucraina, lontane dal fronte dei combattimenti (nella sola giornata di domenica 26 giugno, i russi hanno lanciato 114 missili), sarebbero state delle “dimostrazioni” russe in occasione dei vertici della Nato e del G7. Tesi abbastanza opinabile che non tiene conto del fatto che, dopo un periodo a “bassa intensità”, siamo tornati alla caratteristica principale di questa guerra che prevede il massacro indiscriminato come forma di battaglia, con l’obbiettivo di terrorizzare la popolazione civile, anche lontano dalle zone di guerra, preparando una campagna di distruzione del paese per conquistarlo, un po’ alla volta, tutto.
Nella sua corrispondenza da Odessa (“il Foglio”, 30 giugno), Adriano Sofri ha scritto: “A Ochakiv, all’alba, un missile ha ucciso un bambino di tre anni, un adulto e ferito gravemente un bambino di tre mesi. A quell’ora, prima dell’alba, le persone normali dormono nelle loro case. Sono morte dunque nelle loro case tre persone normali. Questo è l’obiettivo della guerra”. Vuotare la terra della sua gente distruggendo e spaventando è un pilastro strategico della guerra moderna come la intendono le truppe russe. I missili che volano in questi giorni e attraversano i cieli dell’Ucraina per andare a colpire edifici e villaggi in zone dove non si sta combattendo, sono giustificati dalla propaganda russa come obbiettivi militari mancati di poco: una fabbrica di armi vicino ai moderni palazzi, e a un asilo, alla periferia della capitale oppure un grande magazzino pieno di gente a Kremenchuk, nella regione di Poltava, nell’Ucraina centrale aveva nelle vicinanze, secondo il Ministero della difesa russa, “un deposito in cui erano stoccate armi inviate dagli Usa e dall’Europa; il missile di precisione lo ha colpito provocando un incendio che poi si è propagato al vicino centro commerciale”. Secondo Mosca, il centro commerciale era chiuso. La distruzione e le vittime non si spiegano!
I geopolitici nostrani che sostenevano che la guerra potesse essere confinata ai massacri nel Donbass per conquistarlo e sottometterlo completamente, non vedono che l’ “operazione militare speciale” russa coinvolgerà tutta l’Ucraina. I paesi baltici, a cominciare dai “dispettosi” lituani, sono convinti che comunque la Russia mira ad arrivare a Kyiv e quindi prendere tutta l’Ucraina (magari per passare poi ad altri paesi confinanti). Questo è un conflitto per la conquista di un intero stato sovrano che si cerca di sconfiggere utilizzando l’unica modalità bellica applicata negli ultimi anni dall’esercito russo (dalla Cecenia alla Siria): la distruzione e l’annientamento di ogni resistenza con bombardamenti indiscriminati sui civili. Secondo la direttrice dell’intelligence Usa, Avril Haines, “Putin non ha rinunciato all’idea di conquistare tutta l’Ucraina e quindi dobbiamo aspettarci di tutto da Mosca”. Non è detto che ci riesca (soprattutto se l’Occidente fornirà agli ucraini le armi difensive che richiedono), ma l’obiettivo di Putin e il ritorno dell’Ucraina nella Russia. Una guerra di ricolonizzazione. Per far questo, per piegare la tenace resistenza degli ucraini, l’esercito russo deve compiere massacri.
Nuovamente si è aperta la discussione sull’uso del termine “genocidio”. Un termine molto forte e discusso: lo Stato di Israele ne rivendica, ad esempio, l’uso soltanto per la Shoah. Esso fu coniato dall’avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin (1900-1959): un ibrido tra la parola greca “genos” (stirpe) e il termine latino “cidio” (uccidere). Dopo la guerra, Lemkin fu l’artefice della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, che venne approvata nel 1948 alle Nazioni Unite, e si riferisce non all’uccisione anche di tante persone, ma all’ “annientamento di un popolo”. La Convenzione delle Nazioni Unite parla di atti commessi “con l’intenzione di uccidere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Già dopo quasi un mese dall’inizio dell’invasione russa, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky definì il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol “l’ultima prova che il genocidio degli ucraini sta avvenendo”. Lo ribadì dopo la scoperta dei massacri a Bucza, parlando al parlamento israeliano, molto sensibile a questa questione. L’uso del termine “genocidio” suscitò molte polemiche: molti sostengono che quello che era accaduto a Bucza, e si è ripetuto e si sta ripetendo in decine di altre città ucraine, è piuttosto un “crimine di guerra”.
In un editoriale particolarmente azzeccato, Ernesto Galli della Loggia ha scritto: “Quello che le autorità russe stanno facendo in Ucraina è qualcosa che prima di oggi solo Hitler e Stalin avevano osato fare” (“Corriere della Sera”, 26 giugno). La storica Anna Foa ha commentato: “Non sono del tutto convinta di quel ‘solo’, penso che dopo Hitler e dopo Stalin anche la seconda parte del Novecento sia stata costellata di genocidi e violenze genocidarie che non hanno molto da invidiare a quelle naziste e comuniste. Ma sono invece del tutto d’accordo con il confronto” (“Gariwo News”, 27 giugno).
Qual è il meccanismo che innesca i genocidi? Il filosofo Günther Anders, nel libro-lettera al figlio del gerarca nazista Noi figli di Eichmann (1964), ha spiegato che è proprio la “mostruosità” che inceppa il nostro pensiero, creando una “discrepanza” tra cosa immaginiamo quando prendiamo una decisone e cosa ci impedisce di arrestarci quando gli effetti della nostra decisione hanno assunto le proporzioni del mostruoso. Qui le vie della responsabilità e quelle della spietatezza si biforcano, e se sembra impossibile tornare indietro sulle nostre decisioni, quanto è stato deciso sarà portato a effetto con l’indifferenza tipica della burocrazia di chi ubbidisce semplicemente agli ordini, mettendo a tacere la sua coscienza.
Già a fine febbraio, Karim Ahmad Khan, procuratore capo della Corte Penale Internazionale, avviò un’indagine “perché sussistono ragionevoli basi per ritenere che in Ucraina siano stati commessi sia crimini di guerra sia crimini contro l’umanità”. Gli ucraini si stanno nuovamente rivolgendo al Consiglio di sicurezza dell’ONU per chiedere di fermare quello che chiamano un “genocidio”. Del resto, in tempi più recenti, processi per “genocidio” sono stati intentati da tribunali internazionali speciali (la Corte Penale Internazionale dell’Aia, tribunale permanente, è operativa soltanto dal 2002 e non è stata riconosciuta né dalla Russia né dagli Stati Uniti) contro il regime dei Khmer Rossi che portò alla morte di 1,7 milioni di cambogiani, e per il massacro della popolazione musulmana di Srebrenica durante la guerra in Bosnia nel 1995.
A proposito di quello che sta accadendo in Ucraina, il filosofo Michael Walzer ha proposto di usare il termine “genocidio culturale”: “Riserverei per ora il termine ‘genocidio’ agli ebrei, armeni, ruandesi. C’è il termine genocidio culturale e diversi media russi lo invocano. Forse non vogliono uccidere tutti gli ucraini, ma distruggere l’ucrainicità, l’idea stessa di essere ucraini (…) Ora i media non parlano più di denazificazione, ma di deucrainizzazione. Un progetto assai più ampio, che sembra descrivere l’intenzione di commettere un genocidio” (Cari liberal quello di Putin è un genocidio culturale, intervista di Paolo Matrolilli, “la Repubblica”, 15 aprile 2022).
Ma, nella sostanza, queste discussioni, e distinzioni, tra “genocidio” e “massacro” o “crimine di guerra” sono abbastanza oziose. Da mesi ormai si sta annientando una nazione e il suo popolo, sparando nel mucchio. Nessuna guerra può essere paragonata a quella in corso in fatto di duplicità nelle motivazioni, violenza deliberata e uso delle tecnologie di distruzione, alcune mai testate sui campi di battaglia. Un massacro che sarà non soltanto di vite umane, ma anche economico. Come ha notato Antonio Maria Costa, per anni ai vertici dell’ONU e della UE, in La guerra di Putin (Gribaudo, 2022), la Russia si sta impossessando della base tecnologica-industriale dell’Ucraina (dove arrivano i soldati russi smontano macchinari e portano via), e delle risorse naturali del sottosuolo (le miniere del Donbass, e del mare antistante, fonti di reddito che garantirebbero la libertà e l’indipendenza del paese. Non si tratta di appropriarsi delle sue ricchezze economiche, (la Russia è già sufficientemente ricca di materie prime), ma di indebolire il paese economicamente al punto di impedirne la sopravvivenza come paese indipendente. In questo senso si otterrebbe il “genocidio” dell’Ucraina.