L’informazione indipendente russa
Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), associazione nata con lo scopo di difendere la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti in tutto il mondo, considera, dal 1991, la Russia come “il terzo Paese al mondo per numero di giornalisti morti” (solo Algeria e Iraq la superano nel periodo 1993-1996).
Martedì 3 maggio si ricorderà in tutto il mondo la Giornata della libertà di stampa. A Milano, alle ore 11,00 la Fondazione GARIWO – La foresta dei giusti, organizza al Giardino dei giusti (nel parco Monte Stella) un’iniziativa a sostegno dei giornalisti russi indipendenti messi fuori legge per avere denunciato l’invasione in Ucraina. Ci saranno Galina Timchenko (direttrice del sito di contro informazione “Meduza”) e Zoja Svetova, nota giornalista del soppresso quotidiano “Novaja Gazeta”. Saranno presenti inoltre Maurizio Molinari, Massimo Giannini, Anna Zafesova, Micol Flammini, una rappresentante in Italia della fondazione “Memorial” e i presidenti della Stampa estera e dell’Ordine dei giornalisti lombardi.
Sono 47 i giornalisti russi assassinati dal 1992. Anna Stepanovna Politkovskaja (1958-2006) è una dei 31 giornalisti uccisi in Russia tra il 27 ottobre 1999 e il 2022, ovvero da quando Vladimir Putin ha preso il potere (come primo ministro o come presidente). Uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006, nel periodo in cui accusava Putin di aver fatto della Russia uno stato di polizia. Nei suoi articoli la giornalista criticava apertamente il Governo per le violazioni dei diritti civili e dello stato di diritto (Adelphi, che ha in programma nei prossimi mesi la ripubblicazione di tutti i suoi libri, ha appena mandato in libreria: La Russia di Putin).
L’informazione sono fatti e parole. Quando diventa fastidiosa per il potere, si perseguono i giornalisti (si arriva anche ad ammazzarli) e si chiudono i mezzi di informazione indipendenti. E anche le parole possono essere annientate. L’ultimo esempio è l’obbligo di chiamare, in Russia, l’invasione cruenta dell’Ucraina “operazione speciale sul territorio dell’Ucraina”. Il 4 marzo, infatti, è stata approvata dalla Duma la legge sulla responsabilità amministrativa e penale per la diffusione delle fake news sull’operato dell’esercito russo o in caso di discredito dell’impiego delle forze armate. Le pene previste variano fino ad arrivare, nel caso di gravi violazioni della legge, a una pena detentiva da 10 a 15 anni. Per questo motivo i media occidentali hanno dovuto ritirare i loro corrispondenti dalla Russia.
Il giornale indipendente russo “Novaja Gazeta”, fondato nel 1993, ha deciso di sospendere le pubblicazioni del giornale sul web e sulla carta fino alla fine dell’“operazione speciale sul territorio dell’Ucraina”, dopo aver ricevuto un nuovo avviso, per il contenuto critico dei loro articoli, dal Roskomnadzor (l’agenzia federale russa per i mezzi di comunicazione). “Novaja Gazeta”, era una delle poche voci indipendenti rimaste in Russia, famosa per le sue inchieste, in particolare sui mercenari Wagner e sulla persecuzione degli omosessuali in Cecenia. Il direttore Dmitry Andreevič Muratov (1961) è stato insignito del premio Nobel per la pace del 2021 insieme alla giornalista filippina, Maria Ressa. Dal 2000 il giornale è stato regolarmente il bersaglio di intimidazioni e attacchi. Sono numerosi i suoi giornalisti che sono stati assassinati in seguito alle loro inchieste. Ricevendo il premio Nobel, il direttore aveva evidenziato che il premio non era suo: “Il merito è della “Novaja Gazeta”. Di quelli che sono morti difendendo il diritto alla libertà di parola. Dato che non sono più con noi, il Comitato del Nobel ha evidentemente deciso che lo dica io. Il merito è di Igor Domnikov, di Jurij Petrovič Ščekočičin, di Anna Stepanovna Politkovskaja, di Anastasija Eduardivna Baburova, di Natal’ja Chusainovna Estemirova, di Stanislav Markelov. Ecco la verità. Questo Nobel è per loro”.
Il 7 aprile Muratov è stato aggredito con della vernice rossa da uno sconosciuto mentre si trovava a bordo di un treno diretto da Mosca a Samara. Qualche giorno prima aveva annunciato che avrebbe messo all’asta la medaglia del Nobel per donare il ricavato al Fondo per i profughi ucraini. Contemporaneamente, aveva chiesto un cessate il fuoco immediato, lo scambio di prigionieri, delle salme dei soldati uccisi, e l’apertura di corridoi umanitari dalle città ucraine assediate: “Cosa possiamo fare: condividere con i rifugiati, le persone ferite e i bambini che hanno bisogno urgente di cure ciò che ci è caro e che ha un valore per gli altri”, aveva scritto sul sito del giornale in un annuncio in russo, inglese e ucraino.
Molte organizzazioni, come Reporters Sans Frontières, hanno denunciato il fatto che le indagini sugli omicidi dei giornalisti si sono sempre risolte con l’arresto di improbabili personaggi e senza mai arrivare ai mandanti. Clamoroso è il caso del giornalista americano e storico della Russia, Paul Klebnikov, caporedattore dell’edizione russa di “Forbes”. Il 9 luglio del 2004, dopo che aveva pubblicato la lista delle persone più ricche di Russia, venne assassinato all’uscita della redazione di Mosca. Tre ceceni accusati di aver preso parte all’omicidio sono stati poi assolti.
Gli oppositori non possono sentirsi tranquilli nemmeno una volta espatriati. Arkadij Arkad’evič Babčenko (1977) si era arruolato nell’esercito russo nel 1995, prestando servizio nelle truppe di comunicazione nel Caucaso settentrionale e partecipando alla prima guerra cecena, offrendosi poi volontario per sei mesi durante la seconda guerra cecena. Le sue esperienze nell’esercito russo sono raccontate nel libro One Soldier’s War (2006). Nel 2000, dopo aver lasciato le forze armate, ha fatto il tassista per diversi anni, ma nel gennaio 2009 ha iniziato a lavorare a “Novaja Gazeta” seguendo, come corrispondente militare, la seconda guerra in Ossezia del Sud. Nel 2017 ha lasciato la Russia dopo aver ricevuto minacce di morte e si è stabilito in Ucraina. Il 29 maggio 2018 fu data la notizia che fosse stato assassinato. In realtà servizi ucraini inscenarono la sua morte prima di farlo riapparire a Kiev in una conferenza stampa per proteggerlo e catturare gli agenti russi mandati ad ammazzarlo.
Il 23 aprile del 2021 il governo russo dichiarò il giornale indipendente online Meduza “agente straniero”. Sulla pagina Instagram del sito apparve un’emoticon con una faccia che piangeva dal ridere. “Meduza”, fondato nel 2014, con caporedattore Ivan Kolpakov, in seguito alla migrazione in Lettonia della redazione del sito Lemta.ru.: “Abbiamo capito che in Russia, molto probabilmente, non ci avrebbero lasciato lavorare”. Aveva una versione in russo e una in inglese: in questo modo riusciva a ottenere un buon seguito all’estero, come punto di riferimento dell’informazione indipendente in Russia. Da allora “Meduza” ha dovuto affrontare le pesanti conseguenze del boicottaggio del governo, tra cui la perdita degli sponsor e le ripetute minacce di chiusura. Il giornale lanciò con successo una campagna di crowdfunding (chiamata “Become a summer agent”, diventa un agente estivo) per farsi sostenere dai lettori. Alla fine però Aleksander Mamut, l’oligarca proprietario del sito e amico di Vladimir Putin, ha sollevato dal suo incarico la direttrice Galina Timchenko, per “divergenze riguardanti la copertura della crisi Ucraina”. Sempre in Lettonia, il sito è stato rifondato da una ventina di giornalisti, col nome “Progetto Meduza”, e sempre diretto da Galina Timchenko (che ne è diventata proprietaria): aggregano notizie dai media in lingua russa e producono propri contenuti pubblicandoli su una app e un sito web. Il governo russo può costringere gli internet provider a vietare i siti ritenuti “estremisti”, ma non ha modo di bandire le app e quindi la nuova testata dovrebbe riuscire a diffondere le notizie nel territorio russo.
L’informazione russa è ormai tutta controllata dal regime di Putin. I giornali e le televisioni raccontano con una sola voce, e con un goffo vittimismo antioccidentale, le menzogne sulla guerra in Ucraina. Ma il lavoro di associazioni per la difesa dei diritti umani come “Memorial” (fondata nel 1989 per documentare il dramma del Gulag e chiuso dalle autorità alla fine del 2021) e l’impegno e il sacrificio dei giornalisti indipendenti hanno dato i suoi frutti. Quel poco di democrazia sperimentata dopo il 1991 ha prodotto un’opinione pubblica russa che pensa con il proprio cervello, diffida delle verità preconfezionate, odia la guerra e prova, in queste settimane, vergogna per l’aggressione all’Ucraina. La reazione di molti intellettuali, artisti, docenti e studenti è una cosa che non si era mai vista. Fin dai primi giorni ci sono state manifestazioni nelle principali città e appelli sui social (anche questi subito spenti) firmate da studenti e professori universitari che si dichiaravano contro la guerra. Sono atti di coraggio la cui portata noi non riusciamo nemmeno a immaginare: queste persone possono essere licenziate o espulse dall’università se gli va bene, o essere condannate a diversi anni di prigione. Simbolo di questa Russia indipendente è però la pittrice Elena Osipovna, sopravvissuta da bambina all’assedio tedesco di Leningrado. All’eta di 80 anni è scesa in piazza a San Pietroburgo per dire basta alla guerra voluta da Putin. Reggeva in mano dei cartelli con scritte per la pace. Su uno c’era scritto: “Soldato, lascia cadere la tua arma e sarai un vero eroe!”. Mentre era in piazza con gli altri manifestanti russi per la pace, due agenti l’hanno avvicinata e l’hanno portata via tra gli applausi degli altri pacifisti, scesi in piazza a migliaia. Ci è tornata alcuni giorni dopo e l’hanno nuovamente fermata.
Clamoroso è stato il gesto della giornalista Marina Ovsjannikova, la giornalista che si è inserita nel tg di Channel One, dove lavorava, protestando contro la guerra. Il suo cartello con su scritto “Tocca a noi fermare questa follia. Non abbiate paura di nulla” è stato ascoltato, e ci sono state molte dimissioni tra i giornalisti russi che lavorano nei media del Cremlino: dalla collega di Channel One, Žanna Agalakova, alla conduttrice dell’emittente televisiva NTV, Lilija Gildeeva e il suo collega Vadim Glusker che lavorava da trent’anni a NTV.
La trentasettenne Maria Baronova, ex caporedattrice di “Russia Today” (RT) e anche diversi giornalisti non russi ma che lavoravano per RT, come la corrispondente da Londra Shadia Edwards-Dashti e il presentatore francese Frédéric Taddeï.
L’intero staff dell’emittente televisiva russa Dožd’ (TV Rain) ha abbandonato lo studio televisivo in diretta, dopo aver dichiarato “No alla guerra”. Uno dei più famosi presentatori di talk show russi Ivan Urgant ha deciso di prendersi una pausa dal suo programma ‘Evening Urgant’, in prima serata su Channel One. Sul suo account Instagram ha pubblicato un quadrato nero scrivendo nella didascalia: “Paura e dolore. Niente guerra”.