Milano al tempo del coronavirus
Da tempo andavo convincendomi che il Surrealismo avesse vinto e che, con i suoi tragicomici modi, dominasse ormai il mondo. Oggi assistiamo al suo bizzarro trionfo a Milano proprio nei giorni del suo singolare Carnevale che, come si sa, termina quattro giorni dopo che nel resto del mondo.
Infatti, nel IV secolo d.C., Milano era stata decimata dalla peste: la popolazione posta in quarantena; chiuse le vie d’accesso e limitati gli scambi commerciali; le scorte alimentari razionate. Il vescovo Ambrogio, per evitare altre sofferenze alla sua gente (il digiuno e la penitenza subito dopo la fame e la malattia), ottenne dal Papa una dispensa speciale perpetua: la possibilità, per la sola diocesi di Milano, di festeggiare il carnevale fino al sabato precedente la prima domenica di Quaresima. Una bizzarria, nata dal connubio tra contagio e festa, che dura tutt’ora.
L’altra mattina, in metropolitana, come in una sorta di bizzarro spettacolo di Carnevale, la gente stava seduta una ogni tre sedili (i medici raccomandano di tenersi, se possibile, a una certa distanza dalle altre persone): se un passeggero provava a sistemarsi nel mezzo veniva subito guardato malissimo dagli altri. E molti sguardi erano resi ancora più feroci a causa delle mascherine che coprivano metà dei volti. Un gruppo di ragazzi, approfittando dell’insperata e, per il momento, senza termine, chiusura di tutte le scuole e università, se ne stava in piedi travestiti con tute bianche, guanti di lattice e sovrascarpe con elastico, mascherine a cono, occhiali da nuoto e cuffie. Parevano fantasmi, appesi come pipistrelli alle maniglie, che oscillavano ritmicamente a ogni scossa del vagone. Ma tutto sembrava normale.
La cosa sorprendente è che quello che sta accadendo a Milano e in Lombardia, a Venezia e nel Veneto, appare, e viene vissuto da molti, come fosse “normale”.
Una situazione che mi ricorda i convulsi momenti successivi alla catastrofe di Chernobyl (del resto già qualche commentatore ha sostenuto che questa epidemia potrebbe essere per la Repubblica popolare cinese altrettanto fatale come lo fu l’esplosione della Centrale nucleare per l’URSS): il terrore per qualcosa che gira nell’aria e che non si vede e non ha odore; la mancanza di informazioni chiare e univoche; la psicosi di rimanere senza cibo…
I supermercati sono ben forniti, ma sono stati presi d’assalto da gente che fa le scorte come se stese scoppiando una guerra. Le merci più acquistate: bottigliette di acqua minerale (come se il coronavirus si potesse tramettere tramite l’acquedotto!); ogni tipo di disinfettante e sapone; surgelati e scatolame; molti pacchi di pasta. I negozianti si sono sorprendentemente accorti che sono state lasciate sugli scaffali soltanto le confezioni di Penne lisce…)
Anche nelle farmacie si compra di tutto: vitamine, inutili antibiotici (non servono a combattere un virus influenzale), ricostituenti, spray per la gola e per il naso, intrugli omeopatici. Esaurite subito le scorte di mascherine (che costano 0,75 euro l’una). Per strada, venditori abusivi le offrono a 10 euro. Su internet si trovano a prezzi esagerati: un sito di Napoli vende on line “confezioni di mascherine nuove” (?!) a 500 euro. La casa di moda Fendi propone una mascherina anti-virus in seta, griffata, a 190 euro (il prodotto è già esaurito).
Gli “esperti” (immunologi, virologi, biologi, medici generici, igienisti, farmacisti…) vengono consultati su tutto e in continuazione. In televisione si assiste allo spettacolo indegno di medici e scienziati che si insultano come se fossero a un dibattito politico durante la campagna elettorale. Le uniche serie paiono alcune virologhe donne.
Tutto è stato chiuso, ma, ovviamente, già ci si è un po’ stancati. Cinque giorni fa sembrava che serpeggiasse il contagio più nefando e già da ieri si comincia a sostenere che “la città non può star chiusa perché è triste e deprime la gente” (e l’economia va a picco). I ristoranti sono aperti, ma abbastanza vuoti. Da oggi riaprono i bar e gli altri locali pubblici, prima obbligati a chiudere alle 18.00. I ristoranti invece sono sempre rimasti aperti, ma hanno avuto notevoli cali nella clientela. Misteri della prevenzione: aperitivo no, cenetta si!
“Milano non si ferma” è lo slogan giusto e incoraggiante dell’Amministrazione milanese, ma Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno già cancellato tutte le fiere previste per il mese di marzo (il Salone del mobile è stato rimandata al 16-21 giugno); il Carnevale di Venezia, un evento con un giro d’affari di circa 60 milioni di euro l’anno, è stato sospeso in anticipo, mentre la settimana della moda a Milano si è celebrata con diverse sfilate (come quella di Armani) a porte chiuse, senza pubblico. Ma i cinesi, per la prima volta, le hanno potute seguire nel loro paese in diretta televisiva.
Molte cose, come in un sogno sul fare dell’alba, si stanno smaterializzando. Nell’impossibilità di agire normalmente, una notevole quantità di attività passa sul web: le scuole e le università si stanno organizzando per lezioni in streaming; le aziende, ove possono, tengono i dipendenti a casa e sperimentano il “telelavoro”; chi può, e si fida, fa la spesa on line e si fa portare la cena dai ristoranti (grazie al lavoro di immigrati e studenti che pedalano per la città con enormi sacche termiche agganciate sulle spalle).
Con i cinema, i teatri, le sale da concerti chiuse, la gente sta a casa a guardare la televisione (e finalmente capisce quanto sia molto meglio l’offerta degli spettacoli dal vivo). Alcune partite di calcio si svolgeranno in stadi deserti. Il Duomo di Milano è chiuso così come tutti i luoghi di culto di ogni religione. Le persone devote seguono le funzioni religiose sullo schermo del computer o della televisione. I riti funebri sono ridimensionati: evidentemente perché in genere, in quelle occasioni, ci si abbraccia e bacia di più. E compaiono le pericolosissime lacrime.
I musei e i siti archeologici, le mostre e le biblioteche sono inaccessibili. L’intero settore turistico sta vivendo un momento molto complicato, con migliaia di cancellazioni di prenotazioni già registrate. E le prospettive per il futuro sono nere. A Milano è sparito, in pochi giorni, tutto il turismo d’affari, Venezia è deserta (e quindi è bellissima ma, non avendo praticamente altre attività economiche oltre il turismo, rischia, dopo il disastro dell’acqua alta in autunno, di affondare in una crisi gravissima). Le agenzie turistiche sostengono di avere avuto migliaia di cancellazioni di viaggi, non ci sono più prenotazioni e non le avranno nella seconda metà del 2020.
Nelle scorse settimane, quando era emersa la gravità dell’epidemia in Cina, gli operatori del settore del lusso avevano iniziato a preoccuparsi per la diminuzione degli arrivi di acquirenti dalla Cina e di altri paesi. Ma purtroppo non sono, e non saranno, solo i ricchi frequentatori di negozi di lusso a ridurre le loro visite in Italia.
Come ha opportunamente ricordato Guido Vitiello (che si definisce, su il Foglio, Fondatore dell’Ordine mendicante dei Padri weimariani, che pregano per scongiurare l’apocalisse della Repubblica), sembra di vivere nel sogno di Raskolnikov, nelle ultime pagine di Delitto e castigo di Dostoevskij:
«Gli era sembrato, allora, di vedere tutto il paese devastato da un flagello terribile e senza precedenti che, venuto dal fondo arido dell’Asia, fosse piombato sull’Europa. (…) Degli esseri microscopici s’introducevano nei corpi umani. Gli individui che ne erano infetti divenivano istantaneamente pazzi furiosi. Tuttavia, cosa strana, mai nessun uomo si era creduto tanto saggio, tanto sicuramente in possesso della verità, quanto quei disgraziati. Non avevano mai avuto maggior fiducia nell’infallibilità dei loro giudizi, nella giustezza delle loro conclusioni scientifiche e dei loro principi morali. Villaggi, città, popoli interi, venivano colpiti da quel male e perdevano la ragione».
Come è potuto accadere tutto questo?
Quando si è diffusa la notizia dell’ epidemia di Coronavirus scoppiata in Cina si è immediatamente scatenata, fomentata dai partiti di destra, una vergognosa campagna anti-cinese. L’effetto di questa campagna è stata la decisione drastica di chiudere tutti gli aeroporti italiani ai voli provenienti dalla Cina (e di riportare subito in patria i 400 italiani che si trovavano a Wuhan, dove c’è un’importante fabbrica italiana di plastica, per metterli sotto in quarantena).
Questo provvedimento, dovuto solo a scelte politiche dettate dall’emotività, si è dimostrato il primo errore. Invece di predisporre dei controlli nei nostri aeroporti che permettessero di controllare tutti i cinesi, gli stranieri e gli italiani di ritorno dai luoghi dove avrebbero potuto essere contagiati, si sono provocati ritorni incontrollati dalle nazioni confinanti (ad esempio, dalla Svizzera, tramite l’aeroporto di Zurigo). L’Italia ha così perso il controllo sui rientri dalla Cina.
Il motivo per cui il governo italiano ha deciso di fare controlli sanitari estremamente rigorosi (come, va detto, non è stato fatto in nessun altra nazione europea), e adottare misure eccezionali, che stanno fermando l’economia del paese e fanno ritenere, ai governi e ai media stranieri, che l’Italia sia “il secondo focolaio di epidemia del mondo dopo la Cina”, è la sensazione che un’epidemia che si sviluppasse molto rapidamente (questa è la caratteristica del coronavirus come si vede in Cina, e ora anche in Iran e di giorno in giorno in un numero maggiore di paesi) non sia affrontabile dalle nostre strutture sanitarie.
Come ha notato il docente di Antropologia filosofica dell’Università di Milano, Andrea Zhok (Conti della serva sul coronavirus, in “Gli indifferenti”, 23/02/2020), gli esperti dicono che il Coronavirus presenta complicanze che richiedono il ricovero nel 5% dei casi. Se si lasciasse libero il virus di fare il suo corso, esso coinvolgerebbe gli stessi numeri di un’influenza ordinaria: il 15% della popolazione. Quindi, l’Italia avrebbe la necessità di ricovero ospedaliero per circa lo 0,8% della popolazione totale (60.000.000): 480.000 persone.
Quanti sono i posti letto disponibili in Italia? Secondo gli ultimi dati disponibili: 159.000 (2,65 per ogni 1.000 abitanti). Il sistema sanitario italiano (anche se, cosa ovviamente impensabile, avesse tutti i letti disponibili negli ospedali) non sarebbe quindi in grado di garantire il ricovero a 321.000 persone malate di coronavirus (quasi tutte dai 55 anni in su).
Il problema è che l’attuazione delle severe misure per fermare il contagio oltre agli aspetti tragicomici e contraddittori, suscita anche perplessità per la tenuta della democrazia. Il filosofo Giorgio Agamben, ha scritto (in: “il Manifesto”, 26/02/2020) che “la paura dell’epidemia offre sfogo al panico, e in nome della sicurezza si accettano misure che limitano gravemente la libertà giustificando lo stato d’eccezione”. Secondo Agamben si manifesta ancora una volta la tendenza crescente a usare lo “stato di eccezione” come paradigma normale di governo.
Il decreto-legge subito approvato dal Governo “per ragioni di igiene e di sicurezza pubblica” si risolve in una vera e propria militarizzazione “dei comuni e delle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio di virus”. L’altro fattore, non meno inquietante, a parere di Agamben, è lo stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale: “Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo”.
Rimane in molti la domanda su come sia potuta accadere un’epidemia simile. Soprattuto sul Web circolano le teorie più strampalate. Molti di coloro che vedono complotti ovunque sostengono, con un tipico procedimento paranoico, che basterebbe mettere in fila alcuni fatti: l’inaugurazione, sei anni fa, di un modernissimo biolaboratorio franco-cinese proprio nella città di Wuhan; nel 2015 è stato registrato negli Stati Uniti un brevetto di un coronavirus attenuato (a opera di un istituto legato al governo britannico e alla Fondazione Bill e Melinda Gates; a marzo del 2019 un laboratorio canadese ha inviato segretamente un pacchetto di virus letali al laboratorio di Wuhan, senza informare il governo cinese; il 18 ottobre il John Hopkins Institute, sempre con i soldi della Fondazione Gates, riunì 15 personalità per studiare una simulazione (Evento 201) di una pandemia che partendo dal Brasile facesse milioni di morti; sempre in ottobre arrivano a Wuhan 300 militari americani per una parata… Insomma: l’epidemia sarebbe un complotto degli occidentali per mettere in ginocchio la Cina. Ma altri, invece, sostengono che sono i cinesi che stanno conquistando a colpi di virus il mondo!
Come nei periodi più bui della storia dell’umanità, la migliore difesa e salvezza è l’ironia. Su tutto questo ci sarebbe davvero da ridere: sui comportamenti scomposti di molte persone; sui divieti assurdi; sulla frequente goffaggine di politici inadeguati o impreparati ad affrontare le emergenze; sugli incoerenti comportamenti di burocrati stranieri che ora temono più gli italiani della peste.
Un caso sintomatico su tutti: cinque giorni fa, 40 turisti italiani non sono stati fatti scendere dall’aereo alle Mauritius perché provenienti dalla Lombardia e dal Veneto. Hanno proposto loro una quarantena che si sarebbe mangiata il periodo delle loro vacanze. I turisti hanno chiesto di tornare in Italia e sono stati accontentati. Gli altri passeggeri però, che avevano viaggiato con loro, chiusi nella carlinga, per 12 ore, sono potuti scendere senza problemi né controlli….
La gente, soprattutto i ragazzi, si sbizzarrisce mandandosi immagini ritoccate e battute di spirito sui telefoni cellulari: è davvero facile ironizzare su quello che sta succedendo e sulla goffaggine di molte decisioni prese.
Ci sarebbe da ridere se non ci fossero dei morti. Giustamente Adriano Sofri ha scritto: “Vorrei salutare le vecchie donne e i vecchi uomini cui il virus ha già dato il colpo di grazia, e quelli che lo aspettano. Quelli che gli eufemismi chiamano “anziani”, e però l’eufemismo opposto, urgente a rassicurare gli altri, chiama “malati, già compromessi”. “Sarebbero morti anche per una normale influenza”, ha detto ieri una brava professionista, dimenticando la differenza fra una statistica e una vita” (“Il Foglio”, 25/02/2010).
Quando tutto questo finirà ci ritroveremo cumuli di macerie non soltanto economiche, ma morali, umane e, temo, politiche. Le perdite materiali di due tra le regioni più ricche d’Italia (la Lombardia e il Veneto) spingeranno la Lega Lombarda e le altre organizzazione della destra populista a chiedere con più decisione una maggiore autonomia regionale e pretendere che i soldi delle le tasse rimangano in queste regioni e “non vadano a Roma”. Già in queste settimane si vede come le regioni italiane tendano ad andare ciascuna per conto proprio e, come spesso accade, a mettersi l’una contro l’altra.
I vari sistemi sanitari non vogliono che il Ministero della Sanità, da Roma, interferisca sulle autonomie regionali. Alcune regioni, di propria iniziativa, hanno imposto confini e divieti che non devono esistere in una nazione unita: clamoroso è stato il Presidente della regione Basilicata che ha chiuso l’ingresso ai lombardi e ai veneti. L’Italia rischierà di disgregarsi, come sta succedendo all’Europa che, anche in questo doloroso frangente sanitario, si comporta secondo il nefando principio dell’”ognuno per sé”.