Il manoscritto indecifrabile e il tafano
Forse il Libro che varrebbe la pena regalare per Natale a chi ama i libri, oppure regalarsi, è questo bellissimo volume indecifrabile: il Manoscritto Voynich (a cura di Stefen Skinner, Bompiani editore, pp. 294, euro 40,00). Un libro che non ha un autore e che prende il nome dal possessore della copia manoscritta originale.
L’antiquario Wilfrid Michael Voynich divenne famoso, assieme a sua moglie, per la scoperta di questo “manoscritto cifrato”, ma la sua avventurosa vita pare uscita da un romanzo. Michał Wojnicz (così si chiamava all’inizo) nacque a Grodno (ora Bielorussia) nel 1865, cittadino dell’impero russo e membro di una nobile famiglia polacco-lituana. Studiò a Varsavia, dove, nel 1885, si iscrisse all’Organizzazione rivoluzionaria del proletariato di Ludwik Waryński e nel 1886, dopo un inutile tentativo di fuga, fu arrestato dalla polizia zarista e spedito nel carcere di Tunka. Nel 1890 riuscì a fuggire dalla Siberia e riparò a Londra, utilizzando da allora come suo primo nome, quello di battaglia: Wilfryd.
Voynich sposò nel 1893 la scrittrice e rivoluzionaria Ethel Lilian Boole, nipote del geografo George Everest (a cui è intitolata la montagna più alta del pianeta) e figlia del famoso matematico e logico britannico George Boole (inventore del sistema algebrico binario che sta alla base dei computer), nonché sorella della matematica Alicia Boole Stott (nota per aver coniato il termine “politopo”, per riferirsi a un solido convesso a 3 o più dimensioni come equivalente dei poligoni).
Ethel Lilian Boole fu autrice, tra l’altro, del romanzo The Gadfly (Il tafano, 1897), tradotto in italiano col titolo Il Figlio del Cardinale (trad. di A. Farsetti, Castelvecchi 2013): un romanzo storico, sull’Italia risorgimentale, ambientato a Firenze e a Brisighella (tra il Granducato di Toscana e la Romagna Pontificia), dove si narra la vicenda del carismatico pamphlettista “Tafano”, figlio illegittimo del futuro Cardinal Montanelli (quando Indro lesse il romanzo esclamò: “Mi s’accapponava la pelle, sembrava che la Voynich avesse vaticinato la mia vita”), che lotta contro lo strapotere ecclesiastico: “La malattia di per sé è ciò che viene definito modo di pensare religioso. Si tratta del desiderio morboso di innalzare un feticcio e adorarlo, di prostrarsi e venerare qualcosa. Poco importa se quel qualcosa è Gesù o Buddha o un totem”.
Al di là degli apprezzamenti (da parte di scrittori come Jack London e D.H. Lawrence) e degli esagerati complimenti del filosofo Bertrand Russell (“Il più emozionante romanzo in lingua inglese che io abbia mai letto”), il libro non fece la fama di Ethel, che finì a insegnare musica al Pius X School of Liturgical Music del Manhattanville College of the Sacred Heart.
Il figlio del cardinale ebbe però un successo clamoroso nei paesi comunisti. Dalla traduzione russa (Ovod) sono state tratte otto riduzioni teatrali, otto trasposizioni operistiche e tre film: addirittura, nel 1955, ne fu prodotto un kolossal con tanto di colonna sonora di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič. Testo canonico nelle scuole sovietiche, ha influenzato perfino l’epopea astronomica: gli scienziati sovietici hanno dedicato alla scrittrice un asteroide (“2032 Ethel”) e un il cratere di Venere (“Cratere Voynich”). Il romanzo della Voynich è ancora molto popolare in Cina, Vietnam, Iran e Cuba, dove si continuano a produrre nuove edizioni: la traduzione vietnamita è ancora in commercio e dieci anni fa la Repubblica Popolare Cinese ne ha tratto un film per la tivù in 20 episodi.
A partire dal 1895 i due coniugi cessarono ogni militanza politica, ma spostarono il loro “spirito rivoluzionario” in altri campi. Nel 1898 Voynich aprì una libreria a Londra (in Soho Square) e una decina di anni dopo un’altra a New York. Nel 1912 si recò in Italia a caccia di libri. A Frascati, grazie alla mediazione del gesuita Giuseppe Strickland, ebbe modo di esaminare una collezione di libri antichi che l’Ordine dei Gesuiti era intenzionato a vendere per restaurare Villa Mondragone. Voynich trattò l’acquisto di trenta manoscritti, che espose nel 1915 presso l’Istituto d’arte di Chicago. Poi, nel 1921, a Filadelfia, espose al pubblico il manoscritto misterioso, senza rivelarne però l’origine.
Voynich rinvenne, all’interno del volume, una lettera di Johannes Marcus Marci (1595-1667), rettore dell’Università di Praga e medico reale dell’imperatore-alchimista Rodolfo II di Boemia (1552-1612), che accompagnava il libro inviato a Roma all’amico erudito, cabalista e filosofo tedesco, Athanasius Kircher perché lo decifrasse: “Reverendo Padre… dal momento che ho nella mia biblioteca una sorta di indovinello della Sfinge, uno scritto in caratteri ignoti, ho pensato che non sarebbe stato fuori luogo spedire questo enigma all’Edipo di Egitto per una soluzione (….)”.
Nella lettera, recante l’intestazione “Praga, 19 agosto 1665”, Marci affermava di aver ereditato il manoscritto medievale da un amico (forse un alchimista di nome Georg Baresch), e che il suo precedente proprietario, l’imperatore Rodolfo II, lo aveva acquistato per la considerevole cifra di 600 ducati, credendolo opera del filosofo Ruggero Bacone. Il gesuita Kirchner, inventore tra l’altro di una macchina calcolatrice, non riuscì a decifrare il manoscritto, ma lo tenne con sé nella biblioteca della sua “camera delle meraviglie”, strapiena di: bronzi, pitture, mosaici, iscrizioni, resti dell’antichità classica pagana e cristiana, oggetti riguardanti l’etnologia dell’Oriente e dell’America meridionale, macchine da lui stesso costruite per esperimenti idraulici, ottici, magnetici e matematici… Da lì il volume finì nel Collegio gesuitico di Frascati
Il Manoscritto di Voynich ha 240 pagine in pergamena di vitello ed è scritto in un idioma che non appartiene ad alcun sistema linguistico conosciuto. Il testo è illustrato con diagrammi astrologici e cosmologici, erbari con immagini di piante fantastiche, disegni di ninfe che reggono stelle, attraversano tubi e si bagnano in ampolle bizzarre.
La datazione al radio-carbonio ha stabilito esser stato redatto tra il 1404 e 1438. Nulla si sa del suo primo secolo di esistenza, prima dell’apparizione a Praga. Lo storico dell’arte Erwin Panofsky ipotizzò prima una provenienza franco-spagnola con influenze arabe ed ebraiche. Poi optò per l’origine tedesca. Tra le illustrazioni, un castello ricorda la fortezza medievale di Villalta in Friuli, dai tipici merli ghibellini.
L’opera non è stato ancora decifrata.
Alla morte dei coniugi Voynich (Wilfrid nel 1930 e Ethel nel 1960) il libro andò all’amica e segretaria Anne Nill, che lo vendette a Hans Kraus, che lo regalò nel 1969 all’Università Yale, dove è attualmente custodito nella Beinecke Library.
Dal 2014, dopo un’esposizione alla Folger Library di Washington e la decisione di Yale di mettere integralmente online il documento, il Voynich è diventato un “mistero di massa”. I video su YouTube sono virali, con centinaia di migliaia di visualizzazioni. E le teorie invadono i forum dedicati. Una delle ultime è quella di Giuseppe Bianchi, geometra dell’Agenzia per il Po, appassionato di enigmi storici: “Le chiavi per leggere il Voynich sono nel primo foglio. Insieme con l’ex Libris di Jacobus de Tepenec, farmacista alla corte di Rodolfo II a Praga e primo possessore certo del codice, si notano tre capoversi che non hanno corrispondenze nei glifi del cosiddetto alfabeto Voynich. Più un altro, quasi del tutto cancellato”. Come ha riferito Fabio Sindici (Ho svelato la lingua segreta del manoscritto Voynich,“La Stampa”, 6/IV/2016), Bianchi ha ingrandito i caratteri alfabetici e i fregi della prima pagina, li ha sovrapposti grazie a un programma Cad, e avrebbe scoperto che caratteri alfabetici sarebbero delle lettere-contenitore, lontane parenti degli ideogrammi cinesi: ognuna formerebbe una parola e ogni parola, una frase. Il manoscritto non sarebbe tale, ma un esperimento di prototipografia, eseguito con degli stencil, di solito usati per riempire di colore le figure nei libri rinascimentali.