La casa straniera
Mio fratello ha venduto, due mesi fa, la casa dove siamo nati e dove i nostri genitori sono morti. Un grande appartamento all’attico di un edificio di cinque piani. Il salotto ha una parete-finestra che affaccia su una grande terrazza e domina i tetti rossi della città, permettendo la vista fino all’arco delle colline che l’attorniano.
Per non correre il rischio di incappare nella malinconia, volendo rendere essenziale il mio racconto, non voglio descrivere quella stanza. Una volta l’allenatore della nazionale di calcio, Enzo Bearzot, confessò che, quando era studente liceale, lui e i suoi amici adoravano i romanzi russi: «Quando un personaggio entra in una stanza, lo scrittore russo impiega pagine per descrivere com’è fatta e tutto quello che c’è dentro. Poi arrivò Hemingway che scriveva così: “Entrò nella stanza”. Punto. Il mio calcio è come Hemingway…».
La casa, dopo una lunga trattativa, è stata acquistata da una famiglia di commercianti di origine senegalese, cittadini italiani: padre, madre, due bambini e due nonni. Ci andranno ad abitare tra poche settimane.
Alla notizia, il condominio si è ribellato. Prima, una serie di obiezioni generiche: “faranno chiasso”; “ci abiteranno dentro in venti”; “per le scale si sentirà puzza di aglio, cipolla e di quelle spezie che usano per cucinare”; “non pagheranno le spese e le tasse”. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che, una volta risaputo, il valore del palazzo sarebbe diminuito.
È stata quindi convocata d’urgenza un’assemblea dove sono dovuto andare io, perché mio fratello abita all’estero. Mi è stato subito chiesto se ormai la casa fosse stata definitivamente comprata e perché, come sarebbe buona creanza, non avessimo avvisato gli altri condomini dell’intenzione di venderla. Il ragioniere del terzo piano ha suggerito di inserire nel Regolamento condominiale (pensando evidentemente che le leggi possano avere valore retroattivo!) una clausola che impedisse vendite a ”extracomunitari” senza l’approvazione degli altri residenti. Sua moglie, fresca di messimpiega, ha aggiunto che, dove abita sua madre, è previsto che ci voglia il consenso degli altri per tenere un cane abbaiante o suonare uno strumento musicale (a meno che non si insonorizzi la stanza)…
Io e altri quattro condomini abbiamo detto che era un’assurdità e che, comunque, avremmo votato contro. Ci siamo così beccati gli insulti degli altri: “siete la solita élite buonista!”; “voi ricchi avete certamente altre case e non ve ne importa niente che questa precipiti nel degrado”.
La coppia di anziani impiegati di banca del quinto piano, che ricordavo simpatici lettori dell’”Unità”, ha detto che Salvini ha ragione. “Che c’entra Salvini?” ha chiesto l’insegnante del quarto piano, che cinquant’anni fa scorrazzava in cortile col triciclo rosso e aveva un padre maresciallo dei carabinieri e simpatizzante missino. “Qui è questione di civiltà: i signori senegalesi sono come tutti noi e devono essere i benvenuti”.
L’ingegnere dell’ultimo piano ha preteso, a questo punto, che si piazzassero telecamere sopra il portone, nell’atrio e in cortile, per evitare che “quelli lì spaccino droga”. Il meccanico tracagnotto e donnaiolo si è messo a sghignazzare nervosamente: “Ma a te e ai tuoi figli non parrà vero di avere spacciatori a portata di mano!”. La signora del pianterreno, accompagnata dalla badante filippina, ha detto che cambierà al più presto casa perché non vuole vivere con la paura…
A mezzanotte gli animi si sono placati e rapidamente se ne sono andati via tutti. Tornato a casa, ho acceso meccanicamente il televisore e guardato il telegiornale. Poi non sono più riuscito a prender sonno. Così sono andato in terrazza e, come facevo da ragazzino, mi sono goffamente arrampicato sul tetto tirandomi su dall’inferriata verde che ci sapara dai vicini. La parte più difficile è stata poi sorpassare il muretto, con la sommità orlata da variopinti e taglienti cocci di vetro conficcati nel cemento. Queste barriere hanno un nome buffo: “offendicula”. Nel regolamento del condominio è specificato chiaramente quando sia lecito utilizzarli: “Per offendicula si intende qualsiasi cosa messa a protezione della propria abitazione che abbia la proprietà di ferire o lesionare le persone. Per evitare la violazione del domicilio in maniera illecita, si possono usare il filo spinato o i cocci di vetro sui muri; inoltre fanno parte delle offendicula anche le inferriate a punta o composta da ‘lance’ e le recinzioni elettrificate. Il Codice Civile prevede che il Proprietario abbia l’autorizzazione per utilizzare e disporre come desidera questo genere di protezioni, rispettando però gli obblighi e limiti che l’ordinamento giuridico prevede”. Ne avranno tenuto conto i nostri vicini che hanno alzato questo muretto tagliante per difendersi, a quell’altezza, non si sa bene da chi?
Come un gatto sornione mi sono accovacciato sulle tegole scricchiolanti del tetto, guardando la luna velata da nubi striate. Un cartellone pubblicitario luminoso, parzialmente coperto dalla sagoma della casa di fronte, mi ha restituito a intermittenza, come accadeva a Marcovaldo, soltanto l’ultima parte della parola: “gnac”. Questo “gnac” mi è risuonato come un salutare taglio netto con tutte le meschinerie razziste che avevo ascoltato là sotto. Poi ho sognato che, come un tappeto volante, il tetto si alzava e lentamente volava via, permettendomi di abbandonare per sempre quel palazzo dove mi sento ormai anch’io straniero.