Storie dell’Ortomercato
Dalle alte finestre del posto dove lavoro si può vedere a perdita d’occhio, in direzione del tramonto, l’Ortomercato: un’enorme area, con un vasto settore in degrado, alla periferia di Milano. Un lembo marginale di una città diventata in un ventennio gaglioffa e scurrile: una deserta ferialità che si trasmette all’intero universo urbano.
I Mercati Generali sono gestiti da una società municipalizzata, i cui dirigenti debbono sovente girare con la scorta armata per le continue minacce della malavita organizzata, che vi spadroneggia. L’Ortomercato è un bene storico di Milano sequestrato dalla malavita.
Il 27 gennaio del 2017 è stato arrestato, in viale Brianza, assieme alla moglie insegnante, il quarantaquattrenne Antonio Piromalli, braccio imprenditoriale di una delle più potenti e feroci famiglie della ‘ndrangheta. Era noto anche perché, nel 2015, dopo la scarcerazione, aveva sfilato pimpante tra gli stand dei mercati generali per celebrare il suo ritorno (dopo l’arresto, nel 2008, durante l’operazione antimafia denominata “Cent’anni di storia”).
Il pentito Arcangelo Furfaro ha spiegato che “è da una vita che i Piromalli gestiscono il mercato ortofrutticolo di Milano e la loro tendenza è rendersi più invisibili possibile, e lo fanno in modo eccellente”. Nelle 2.185 pagine del decreto di fermo i pm Paci e Cafiero de Raho hanno scritto: “Antonio Piromalli assumeva il controllo dell’Ortomercato di Milano attraverso la creazione di una complessa rete di imprese e l’ausilio di una serie di affiliati (tra tutti spiccava Alessandro Pronestì) e fiancheggiatori, coordinati con la finalità di dominare il mercato ortofrutticolo di Milano, facendo leva sul metus mafioso esercitato dalla sua persona”. La polizia non entra quasi mai dentro la vasta isola dell’Ortomercanto che è un po’ il simbolo della doppiezza promiscua di legalità e illegalità che caratterizza i territori delle grandi metropoli moderne. Un funzionario ha detto che preferiscono saperli là dentro, i delinquenti, per poterli controllare meglio. E infatti, quando il giro di droga e qualche omicidio, nella discoteca ”Sharm el Sheik” di via Lombroso (in precedenza chiamata “For the King”), supera il livello di guardia, la città scopre che quel luogo è un “mondo a parte” della malavita.
Ma fuori da quelle mura, la polizia invece interviene spesso celermente e radicalmente. Voglio ricordare un fatto avvenuto là, in Via Varsavia: un’ampia strada triste, costeggiata da capannoni, alberelli spennachiati, palazzi malpensati.
La notte del 30 giugno 2011 un manovale di mezz’età, corpulento e col faccione bonario stava bevendo birra e ascoltando musica ad alto volume con due amici rumeni. Arrivarono due volanti chiamate da qualche cittadino a cui disturbavano il sonno. Quattro poliziotti iniziarono subito a picchiarlo, schiacciandogli con le ginocchia il torace. Lui urlò e chiese aiuto, mentre era piegato sul marciapiede, ammanettato dietro la schiena.
Secondo la versione ufficiale, morì tra le loro mani per una “tempesta emotiva”.
La figlia riuscì a recuperare, in un campo rom lì vicino, un telefonino con il video e la voce degli ultimi momenti di vita di suo padre. Ma due gradi di appello hanno dato ragione alla versione dei poliziotti. Tutto avvenne appena fuori dell’Ortomercato.