Uccelli e migranti
Il 22 ottobre del 2014, alle 11 del mattino, il fotografo spagnolo José Palazón, direttore della ONG Prodein, nella città di frontiera Melilla (enclave spagnola situata sulla costa orientale del Marocco), scattò una foto a dodici migranti africani (di un gruppo di circa settanta) che stavano tentando di scavalcare la rete che circonda la città. Non riuscendo a buttarsi giù, anche a causa della massiccia presenza di poliziotti, quegli uomini rimasero ostinatamente seduti in bilico sulla barriera di acciaio per più di 12 ore. La fotografia, pubblicata su eldiario.es, fece rapidamente il giro del mondo, mostrando tra l’altro come a pochi passi dalla loro disperazione, gli abitanti di Melilla continuassero indifferenti a giocare sui verdi campi da golf circondati dalle palme. I fuggitivi, bloccati sulla sommità della rete, vennero poi fermati e consegnati alla polizia marocchina.
Quel confine assurdo che circonda Melilla, un confine tra l’Africa e l’Europa (in realtà: un confine dell’Europa in terra d’ Africa, retaggio di un antico colonialismo), è stato costruito e pagato, nel 2009, dal Fondo europeo di sviluppo regionale: oltre un milione di euro di finanziamenti europei. A pochi metri dal CETI (Centro di soggiorno temporaneo per immigrati) di Melilla, dove oggi vivono più di un migliaio di persone (il 70% di origine Siriana), si può giocare a golf per solo 7 euro all’ora.
La foto di José Palazón ha avuto il merito di fermare emblematicamente l’immagine e il tempo sulla recinzione che divide la città di Melilla dal resto del Marocco. Quel gruppo di migranti appollaiati sulla barriera sembrano inquietanti pennuti neri: come gli uccelli dell’omonimo film (1963) di Alfred Hitchcock, considerato giustamente da Federico Fellini uno delle più grandi pellicole di tutti i tempi: «Gli uccelli può venire meglio apprezzato non come una narrazione lineare, ma più come un poema lirico tragico i cui episodi sono come stanze che rafforzano un singolo tema a livello emotivo” (F. Fellini, Intervista a Donald Spoto, 8 maggio 1980).
D’altra parte, gli abitanti di Melilla che continuano a giocare tranquillamente a golf, cercano di fare un “birdie”: in gergo tecnico un punteggio inferiore di un colpo rispetto al numero predeterminato per completare una buca. Seguendo queste associazioni, il gruppo teatrale catalano Agrupatión Señor Serrano ha messo in scena Birdie (presentato a Milano, i primi giorni di dicembre, al Teatro La Cucina, nell’Ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini). Un viaggio multimediale e multitasking che ruota attorno alla foto di José Palazón, proiettata su uno schermo gigante, sullo sfondo della scena. Su questo schermo si alternano anche sequenze de Gli uccelli di Hitchcock e l’ingrandimento delle azioni degli attori (altrimenti incomprensibili da lontano). I tre attori/manovratori (Alex Serrano, Pau Palacios, Alberto Barberà), tramite una videocamera, mostrano gli oggetti che spostano su vari tavoli. Oggetti che fanno riferimento alla foto: ritagli di giornale, mappe geografiche, modellini in scala di animali. L’ immagine degli immigranti appollaiati sulla sommità della rete viene sezionata in ogni suo aspetto, ricomposta e approfondita in un gioco di scale dal piccolo al grande e viceversa: «Ogni piccolo pretesto, ogni tassello di questo puzzle ha estrema importanza e coopera a un progetto drammaturgico che è evocativo del dramma, ma anche della paura, così come della speranza dei processi migratori in atto».
Gli attori/manovratori entrano nel dettaglio di quel campo da golf, passando allo scanner ogni singolo oggetto ripreso nella fotografia: dalle piante della vegetazione circostante all’asta del par, dai cappellini dei golfisti alle felpe dei immigrati, dal casco del poliziotto alla rete di recinzione. Il dettaglio è una sorta di scheda tecnica che identifica in primo piano la provenienza di ogni cosa.
Gli stormi di uccelli migratori sono paragonabili alle masse di migranti? I migranti possono creare timore e preoccupazione, ma non possono essere fermati se non ricorrendo a un’inconcepibile violenza. A differenza degli uccelli di Hitchcock, i migranti sono persone pacifiche, non aggrediscono: subiscono la violenza e l’indifferenza di chi non prova nemmeno a immaginarsi (magari ricorrendo, ad esempio, alle memorie dei propri antenati) al posto loro. Ma debbono essere messi in condizioni di vivere decentemente e, al più presto, occorrerebbe far cessare le cause che spingono migliaia di persone a fuggire dalla loro terra.
Lo spettacolo Birdie mette a confronto due realtà: da una parte il miraggio di uno stato assistenziale per tutti, il rispetto dei diritti umani, la prosperità, la facilità di movimento delle informazioni e dei capitali; dall’altra, guerre, sfruttamento, persecuzioni, ostacoli per i migranti. Le immagini dei barconi e dei mezzi di fortuna di un’umanità in fuga si confondono, in autunno, con le straordinarie acrobazie degli stormi migranti nei cieli delle città, formate da trepidanti nuvole nerastre che si avvitano a mulinello seguendo alla perfezione un comando invisibile. Eppure c’è anche chi vorrebbe fermare (invocandone addirittura lo sterminio) questi belissimi e allegri uccelli in rotta verso il più caldo Sud, perché sorvolando i nostri cieli sporcano con le loro defecazioni in picchiata i parabrezza delle macchine e le tende dei negozi. Chiunque migri (un fenomeno che esiste dagli inizi del mondo!) dà molto fastidio.