La storia complicata di Ida
Nei prossimi giorni sarà possibile vedere in alcune sale italiane il bellissimo film Ida del regista polacco Pawel Pawlikowski, vincitore del London Film Festival e Premio Fipresci al Toronto International Film.
La storia è ambientata nella Polonia del 1962. Anna, una giovane orfana cresciuta tra le mura del convento dove sta per farsi suora, viene a sapere, poco prima di prendere i voti, che ha una parente ancora in vita: Wanda, la sorella della madre. La Madre superiora la sollecita ad andare a trovarla, anche per “vedere il mondo” prima di prendere i voti. L’incontro tra le due donne segna l’inizio di un viaggio alla scoperta l’una dell’altra, ma anche dei segreti del loro passato. Anna infatti viene a sapere dalla zia di essere ebrea: il suo vero nome è Ida. La rivelazione delle sue origini la spinge a cercare le proprie radici e ad affrontare la tragica verità sulla sua famiglia, insieme a sua zia. Nel corso del viaggio, Ida e Wanda, che sono due donne diversissime, impareranno a conoscersi e a comprendersi per prendere poi strade differenti. Wanda dovrà fare i conti con la propria storia personale, trascurata per dedicare l’intera esistenza alla lotta partigiana durante la guerra, e dopo, finché è stata pubblico ministero comunista, alla ricerca e alla condanna pubblica dei “nemici del popolo”. Ida invece si troverà a scegliere tra la religione che l’ha salvata durante l’occupazione nazista e la sua ritrovata identità nella realtà fuori dal convento (le capiterà anche di innamorarsi di un tormentato musicista).
Ida è un film molto importante perché, al di là della perfezione formale e della bravura delle due protagoniste, l’intensa Agata Kulesza e la sbalordita Agata Trzebuchowska, costringe lo spettatore (polacco, ma anche italiano) a fare finalmente i conti con la complicatezza della Storia. Il film è in bianco e nero, ma la vicenda narrata mostra tutte le sfumature del grigio e fa perdere il senso certo di dove sia il Bene e il Male. Ovviamente il male del nazismo, e delle responsabilità dello sterminio degli ebrei (l’antefatto della storia), sono assai chiare, ma tutto ciò, che da quell’orrore deriva, è confuso.
Nel 1986, un coraggioso scrittore polacco, Andrzej Szczypiorki (1924-2000), raccontò in un romanzo il complicato dramma del suo paese a partire dalla seconda guerra mondiale, che nell’Europa centrale produsse tragedie, inimmaginabili per noi occidentali (che pure la guerra, e l’occupazione, abbiamo abbondantemente sofferto). Quel romanzo si intitolava Początek (L’inizio), ma nell’edizione italiana fu incomprensibilmente tradotto, come in Germania, con il titolo La bella signora Seidenman (Adelphi 1988). E, invece, proprio dell’”inizio” che si trattava.
Nella Varsavia del 1943, Irma Seidenman, giovane vedova bionda ed eterea, è denunciata alla Gestapo da un delatore ebreo. Arrestata, nega di essere ebrea ma non creduta, viene avviata alla deportazione. Sarà un tedesco a salvarla (Muller è un socialista che, con quel gesto, redime la propria germanicità). Il libro ripercorre la storia della Polonia fino agli anni Ottanta, ma mostra che, in quei tragici anni di guerra, tutto iniziò; poi, nulla fu più come prima e anche l’orrore divenne possibile. Di conseguenza, tutti i personaggi (ancora in guerra, come in pace) hanno più facce e i comuni valori di riferimento si fanno confusi. Basta guardare, per esempio, Weronika: una ruvida suora cattolica che, nel suo zelo antisemita, si prodiga per convertire i bambini ebrei, impone loro un nome e un identità cristiana per redimere la loro “anima impura”, salvandoli così, di fatto, dallo sterminio.
Anche il film Ida appartiene a quelle opere d’arte che ci fanno intuire come la realtà sia molto più complicata di come ci piacerebbe fosse. Ad eccezione di Anna/Ida, che guarda il mondo con gli occhi sgranati di chi, fino a quel momento, è stata “protetta” dalle mura del convento e da una fede semplice, tutti i personaggi sono “doppi”. Per questo, non si trova a suo agio nel mondo, nemmeno quando conosce l’amore. La zia invece è una vittima (perché ebrea e anche perché ha perso tutta la famiglia), ma è anche “carnefice”, perché manda tranquillamente a morte i suoi avversari politici e gode di privilegi, mentre la maggioranza della popolazione muore di fame. Si sente angosciata e disorientata, perché ha creduto nel valore salvifico del socialismo (che, tra l’altro, in Polonia avrebbe dovuto sradicare il morbo dell’antisemitismo e invece lo resuscitò strumentalmente). Sopraggiunta, dopo il 1955, la destalinizzaione, Wanda ha perso il suo ruolo e rischia persino una condanna, oltre a essere attanagliata dai fantasmi dei suoi morti. I contadini polacchi, che zia e nipote, rintracciano, sono stati “generosi” nell’aiutare la famiglia ebrea braccata dai tedeschi, ma poi li hanno ammazzati loro, per paura di venir scoperti e, soprattutto, per prendersi la loro casa (che ancora abitano e temono possa esser sequestrata). Uccisero, ma ebbero anche pietà di quella bambina coi capelli biondi (quindi meno riconoscibile come ebrea) e l’affidarono al prete, che la salvò.
Il regista Pawlikowski ha così, sbrigativamente, definito il suo lavoro: «Ida è un film sull’identità, la famiglia, la fede, il senso di colpa, il socialismo, la musica». Ma si è dimenticato di dire che il suo film disorienta moralmente e obbligherebbe a ripensare la storia della Polonia, degli ultimi settant’anni, come una lunga e buia tragedia, con qualche confortante sprazzo di luce, iniziata quando i due potenti vicini si spartirono il paese. Un disorientamento certamente salutare. Alla fine della proiezione, in anteprima dopo il Torino Film Festival, al Cinema Anteo di Milano, una signora, piuttosto agitata, chiedeva al frettoloso marito: «Ma spiegami che razza di storia è?!, Dove sta il Bene e dove il Male?».
Il trailer del film