Prime commissioni
Il programma Hajimete no Otsukai è andato in onda sulla televisione giapponese dal 1991, è un long-seller e un classico di questo paese, oltre a essere uno di quegli argomenti che quando se ne discute fa domandare ai giapponesi “Ah! Ma quindi da voi non c’è?”.
Nei primi anni di vita a Tokyo l’ho utilizzato, insieme a escursioni notturne e incontri casuali, come scuola di lingua giapponese, visto che mostra dei filmati in cui i bambini fanno cose che sono minuziosamente descritte e commentate da una voce fuori campo. Adesso il programma si trova su Netflix con il titolo “Old Enough”, ma la traduzione letterale in italiano sarebbe “Le prime commissioni”, dove la parola giapponese Otsukai è scritta con un carattere molto rivelatorio. Infatti si tratta della parola utilizzo, preceduta dall’onorifico O-, segno che le commissioni affidate ai bambini li rendono finalmente utili alla famiglia e degnamente utilizzati: un tratto comune a tutte le culture contadine del mondo, in cui quando sei nato, dopo i primi anni di vitto e alloggio gratuito bisogna cominciare a guadagnarselo.
Le commissioni affidate ai bambini anche molto piccoli sono i classici acquisti nei negozi di quartiere o la preparazione di qualche semplice pasto a casa a cui i nostri si dedicano dopo aver attraversato strade, camminato su marciapiedi, scalinate o sentieri in completa autonomia.
Chiunque conosca un po’ la televisione sa che dietro ogni programma ci sono audizioni, pianificazioni, script, copioni, e “Prime Commissioni” non fa eccezione: il percorso è studiato, messo in sicurezza e, ovviamente, monitorato dallo staff della trasmissione. Il comportamento dei protagonisti, però, si può controllare fino a un certo punto, e a differenza degli adulti è molto difficile che i piccoli fingano, recitino una parte o dicano delle battute imboccate dal regista.
Il programma richiede agli spettatori una tranquillità nel guardarlo che forse riesce naturale solo ai giapponesi: il compito di spostarsi da soli per gli italiani si avvicina a una fune sospesa su un fiume infestato da coccodrilli, ma i Giapponesi tralasciano l’ansia per la sicurezza dei bambini e si concentrano nell’attesa delle trovate comiche o carine che verranno in mente ai bambini. Il programma ricerca empatia, tenerezza, comicità involontaria e a volte un po’ di commozione nel vedere la mamma che spedisce il figlio o la figlia con un po’ di apprensione ed è sollevata al ritorno più o meno vittorioso.
Arrivato dall’Italia, alle prime visioni della trasmissione mi chiedevo se veramente in Giappone fosse normale lasciare i bambini di tre e quattro anni vagare soli per la città o se si trattasse di un’invenzione televisiva. Poi sono diventato padre e ho capito che il programma è estremamente realistico.
Il primo giorno della prima elementare i bambini partono per andare a scuola da soli, spesso raggruppandosi tra vicini di casa, attraversano strade, rispettano i passaggi pedonali, entrano a scuola, poi per tornare a casa fanno lo stesso percorso a ritroso. Nell’ora che precede l’ingresso a scuola in molti quartieri il traffico automobilistico è limitato o vietato, c’è un team di pensionati che sovrintendono alle strisce pedonali armato di pettorina e bandierina blocca-veicoli, e quando inizia l’anno scolastico molti abitanti del quartiere si mettono sulle porte per salutare le piccole matricole, farsi vedere e aiutare nel caso qualcuno si perdesse. In pratica la città è parzialmente responsabile della sicurezza dei piccoli. Se qualche veicolo si trova in zona scolastica durante lo sciamare dei bambini, l’autista preferisce fermarsi piuttosto che rischiare di spaventare il piccolo fiume di scolari. Nelle cittadine rurali come nel centro di Tokyo i bambini sono protetti dalla comunità ma anche dalla struttura stessa della città: le scuole sono distribuite in modo che siano il più possibile raggiungibili a piedi (la capillarità delle scuole è uno dei pilastri urbanistici su cui si basava il Giappone della riforma Meiji), ogni quartiere ha una zona commerciale in cui i negozietti a gestione familiare sono a portata di passeggiata e chi ci lavora spesso si ricorda e conosce ogni cliente. Nonostante molti quartieri stiano cambiando e le abitudini con loro, non è preoccupante vedere bambini aggirarsi da soli e nessuno pensa al reato di abbandono di minore.
Lo scorso autunno le mie figlie di 4 e 6 anni hanno ricevuto la loro vera prima commissione. Dovevano comprare il pane in un forno a circa 700 metri da casa. Abbiamo chiamato il fornaio dicendo che sarebbero arrivate le due e che cosa avrebbero ordinato. Il panettiere ha risposto semplicemente “va bene, ho capito” mettendomi immediatamente di fronte alla normalità della cosa. Come fossi un cameraman del programma televisivo mi sono appostato per controllare che tutto filasse senza intoppi, e ho visto che la gente che incrociava due bambine abbandonate dai loro genitori non dava segno di preoccupazione. Insomma nessuno ha chiamato la polizia per denunciare due minori smarrite o un uomo che da lontano le pedinava cercando visibilmente di non farsi notare.
Sulla strada del ritorno le due hanno salito la scalinata di un tempio e hanno salutato la divinità che guarda sulla strada, accanto a un supermercato, dandomi così l’occasione di fare uno scatto, precederle e farmi trovare a casa tranquillo, come se fossi rimasto lì tutto il tempo, nonchalant. Per fortuna la più grande mi ha poi raccontato di questa deviazione devota e così le ho potuto chiedere “Ma perché siete andate al tempio?”
“Volevamo pregare”.