Mateusz Urbanowicz, l’artista delle botteghe di Tokyo
Fissiamo un appuntamento alla fermata dell’autobus davanti a un tempio che non conosco, nei sobborghi occidentali di Tokyo, ci arrivo con la moto e mi trovo in uno di quei microuniversi che possono meravigliare anche chi abita in questa città da molto tempo.
È chiaramente una zona che in passato era (tutta) campagna, ma si capisce che il tempio ha avuto una certa fama, è stato importante e lo è tuttora, circondato com’è da negozietti e piccoli ristoranti con l’impiantito e i tavoli all’esterno. Sono in anticipo di un quarto d’ora e gironzolo per la zona piena di verde e di ruscelli che si lanciano in cascatelle; capisco perché Mateusz mi ha chiesto di venire: tutto sembra una fonte di ispirazione per i suoi acquerelli. Il suo libro “Botteghe di Tokyo” ha venduto moltissimo in Italia e racconta una visione della città attraverso le facciate dei negozi più caratteristici e nostalgici, filtrate da un occhio che a me sembra molto europeo. Mi è capitato di vedere dal vivo alcune delle botteghe contenute nel volume, e qualche volta i negozianti con cui ho parlato mi hanno fatto vedere delle fotocopie tratte dal libro che tenevano sul bancone, come un attestato di unicità.
Mateusz arriva accompagnato dalla moglie che porta il loro bambino di tre mesi e cominciamo un lungo discorso che durerà per tutte le tre ore che passeremo insieme.
“Sono arrivato in Giappone con una borsa di studio dopo aver abbandonato l’elettronica per dedicarmi al disegno, sognando di creare manga e anime. Rispetto alla Polonia post-socialista dove sono cresciuto e dove i materiali per disegnare scarseggiavano, il Giappone è una mecca per gli artisti, mi sono meravigliato della facilità con cui si trovano le attrezzature per il disegno” mi dice. Molto presto i suoi lavori sono stati notati da Makoto Shinkai, il famosissimo regista di film di animazione, e Mateusz è stato reclutato nel suo studio come disegnatore di sfondi. Ne ha realizzati moltissimi per il film “Kimi no na wa” (Your name – Il tuo nome, ne avevo scritto qui), facendosi le ossa e capendo come funziona un progetto di queste dimensioni. A esperienza finita ha capito che quella mansione non faceva per lui e ha deciso di lasciare il lavoro nello studio per dedicarsi alla carriera personale. In questa fase ha preso forma il progetto delle botteghe di Tokyo.
A questo punto io e Mateusz facciamo una pausa perché con il parlare e le temperature di primavera ci è venuta sete, e andiamo a sederci in uno dei ristorantini con le pareti di legno circondate dal verde. Mentre io e la famiglia Urbanowicz beviamo tè fresco e birra analcolica, forse influenzato dai discorsi sul disegno, mi accorgo che la luce è cambiata e con lei la tonalità del colore delle foglie. Parliamo degli influssi artistici, a Mateusz piace molto Moebius ma ha studiato anche le stampe classiche giapponesi ukiyoe di cui ama la resa dinamica delle figure e la sinteticità nell’uso delle linee.
Poi Mateusz apre la borsa-tavolino pieghevole che ha tenuto con sé per tutto il tempo e mi mostra come disegna dal vero. Guardarlo lavorare è affascinante, e si fermano a guardarlo gruppetti di anziani in gita (“che bravo!” urlano) e una scolaresca elementare (“Ah! ho capito cosa sta disegnando, quel portale del tempio!”) i cui bambini cercano di scoprire le differenze tra lo schizzo e la realtà, come se fosse un gioco.
“Ricerco gli edifici giapponesi più ricchi di poesia, forse un po’ nostalgici. Sono affascinato dalle costruzioni fatte con il legno, visto che in Polonia ci sono città ricche di storia e arte, ma sono edificate con mattoni e pietra”. Mi dice anche che spera di cambiare la visione prevalente tra i giapponesi, che demoliscono le vecchie case per costruire al loro posto palazzi anonimi e senza personalità. Spesso si sente dire dagli stessi abitanti delle zone che disegna che non avevano mai guardato quel luogo nel modo in cui lui lo ha riprodotto. In questo mi accorgo che, nella visione estetica del Giappone, gli europei hanno dei fortissimi punti in comune: tendiamo a amare gli edifici del passato e a volerli conservare, mentre qui la strada verso il futuro segue un’altra direzione.
Continuiamo a chiacchierare mentre lui dà allo schizzo il colore con gli acquerelli, mi racconta dei suoi progetti futuri che riguardano facciate di negozi solo immaginati, resi con elementi raccolti dalla realtà ma ricombinati in modo fantastico. Questo procedimento mi fa pensare al “capriccio”, un genere pittorico in voga in Europa dal rinascimento all’epoca barocca dove i panorami erano un collage di elementi raccolti in vari posti e in riva al mare si potevano trovare rovine romane mai esistite. Mateusz mi fa sbirciare nel suo album che contiene abbozzi di immagini di fantascienza, rese in modo romanticamente retrò, poi ci inerpichiamo in disquisizioni sul fatto che la rappresentazione visiva sia sempre un prodotto del cervello che filtra il reale visto dagli occhi. L’artista che disegna sta quindi continuamente inventando qualcosa che non esiste: non ci avevo mai pensato.
Saltiamo da un tema all’altro e quando gli accenno a qualche mio dubbio sulla qualità di alcuni film di animazione giapponese, mi confessa di non essere molto entusiasta delle cose che vede in giro ultimamente. “Gli anime recentemente sono un prodotto deciso a tavolino fatto di elementi combinati a seconda di quello che dovrebbe vendere. La storia è del tutto secondaria ed è per questo che il pubblico va a vederli ma raramente diventano classici che sopravvivono alla loro epoca”.
Rimarrei a chiacchierare di racconti, di architettura, di tecniche pittoriche e stampe, ma la mattina è diventata già il primo pomeriggio, e ci salutiamo dandoci la mano. Mi accorgo che non mi capitava di stringere una mano forse da anni, e ci voleva un incontro tra europei per ricominciare.
Questa intervista è una puntata del podcast ascoltabile QUI e QUI