Ucraina e Giappone: il difficile rapporto con la Russia
Quando scoppia una guerra da qualche parte nel mondo, il Giappone la segue sui notiziari, in tv e sui giornali; magari se ne sente parlare per strada o sul treno, poi l’interesse lentamente si affievolisce fino a che muore anche l’ultima eco. Con l’invasione russa in Ucraina tutto è stato diverso: è esploso un senso di solidarietà e un coinvolgimento apparentemente sproporzionato per un conflitto che si svolge in un posto così lontano. Sui social sono quasi spariti gli altri argomenti, l’ambasciata ucraina a Tokyo ha lanciato una raccolta fondi che nei primi 4 giorni ha raccolto l’equivalente di 17 milioni di dollari da 60 mila donatari. Circa 70 cittadini giapponesi hanno risposto all’appello per unirsi alle forze militari ucraine, scatenando le preoccupazioni del proprio governo che, con un moto uguale e contrario, sta cercando di far rimpatriare tutti dalle zone di pericolo. Intanto di notte i palazzi governativi dei comuni di Tokyo e Yokohama si sono illuminati con i colori della bandiera ucraina, cosa che è stata fatta anche con castelli e monumenti come la torre Sky Tree. Un produttore di stoviglie ha messo in vendita delle bacchette con i colori giallo e azzurro, devolvendo il ricavato alle vittime della guerra.
Intanto le linee aeree giapponesi hanno cambiato le rotte dei voli per l’Europa che ora non sorvolano il territorio russo, allungando di qualche ora il tragitto. I politici sono entrati in uno stato di agitazione che ha sfiorato la rissa sui social. In particolare Taro Kono, ministro per le riforme ma già energico ministro della difesa, ha prima denunciato lo sconfinamento di un elicottero russo nello spazio aereo nazionale e ha in seguito risposto a muso duro (in inglese) su twitter a un comunicato dell’ambasciata russa a Tokyo che sosteneva che i bombardamenti sui civili fossero fake news. Shinzō Abe, l’ex primo ministro dimessosi nel 2020, ha colto l’occasione per sostenere che il Giappone si debba munire di armi atomiche. Oltre a essere uno dei suoi obiettivi di lungo corso mai realizzati, è un’idea che va in direzione opposta all’ordinamento costituzionale nipponico, basato sul pacifismo (almeno sulla carta) e assolutamente contrario al nucleare per scopi bellici. Il primo ministro attuale, Kishida, proviene da una famiglia che ha le sue radici a Hiroshima ed è sempre stato impegnato in politiche di disarmo, quindi non sorprende che si sia opposto fermamente alla trovata di Abe. In uno scambio telefonico con Zelensky, Kishida si è detto preoccupato per la situazione delle centrali nucleari, e ha deliberato l’invio in Ucraina di caschi, giubbotti antiproiettile e altri materiali di difesa. Inoltre c’è una questione inedita sul tavolo del governo giapponese: l’accoglienza a un numero imprecisato di profughi provenienti dalla guerra. È una misura che deve essere ancora definita nei dettagli ma molto atipica per questo paese che normalmente è poco attivo nel soccorso a esiliati o rifugiati provenienti dall’estero.
L’aria che si respira a Tokyo in questi giorni è particolarmente pesante, e percepisco un po’ inadatta la definizione di “guerra europea” che leggo sui media italiani. Perché la geografia della Russia mette in crisi l’idea stessa di Europa, visto che per il Giappone è da sempre il vicino scomodo e minaccioso a cui fare attenzione. I due paesi si sono sempre trovati su barricate opposte: prima durante la guerra russo-giapponese che, conclusasi nel 1905 ha imposto il Giappone come potenza protagonista della colonizzazione dell’Asia continentale, in competizione con lo stato zarista. Poi durante la seconda guerra mondiale le due potenze si sono fronteggiate in Manciuria fino a quando l’impero nipponico ha perso la guerra e l’Unione Sovietica ha potuto estendere la sua influenza nella zona.
Una delle conseguenze della sconfitta giapponese del 1945 è stata la cessione dei territori del nord (isole Curili) alla Russia, ancora oggi causa di recriminazioni da parte dell’estrema destra nipponica che a ogni manifestazione non manca mai di esporre gli striscioni che minacciano i russi se non restituiranno le isole alla madrepatria. È significativo notare che prima che fossero contese da Russia e Giappone le isole erano abitate dalla popolazione Ainu.
Le acque attorno alle isole, peraltro, sono oggetto di negoziazioni annuali per regolare il diritto di pesca tra Giappone e Russia, e probabilmente quest’anno non sarà possibile organizzare gli incontri a causa del conflitto. A un europeo può sembrare inconcepibile, ma dalla fine della guerra nel 1945 ad oggi Giappone e U.R.S.S. -e poi Federazione Russa- non hanno mai firmato un trattato di pace e i negoziati per metterlo a punto si sono aperti solo nel 2018.
Che conoscano a fondo la storia di guerre e relazioni diplomatiche o meno, i giapponesi percepiscono la presenza della Russia ai propri confini come una minaccia. Credo che sia per questo motivo che la manifestazione di sabato scorso ha visto una partecipazione straordinariamente nutrita. C’è stato un corteo di protesta contro l’aggressione di Putin che ha marciato da Omotesandō a Shibuya, e le migliaia di partecipanti erano guardate da chi si trovava in giro con uno sguardo solidale di approvazione e non con la solita freddezza che si percepisce a Tokyo verso queste manifestazioni. Nel corteo c’erano attivisti giapponesi, ucraini, russi, bielorussi e georgiani, e in coda hanno sfilato con striscioni e bandiere gruppi di taiwanesi e uiguri. È chiaro che gli imperi espansionistici non sono una novità, in questa parte dell’Eurasia orientale, e la paura che generano non svanirà facilmente.