FUGA SULL’ISOLA
Cosa fa uno stanco della vita di città, degli impegni e della pioggia? Scappa e cerca rifugio su un’isola. Io, almeno, ho fatto così.
L’arcipelago di Izu è a circa 100 chilometri dalla città di Tokyo e si distende verso sud per 150 chilometri. Appartiene alla stessa amministrazione comunale della capitale e quindi si può andare su queste isole del sud, quasi tropicali, e dire “saluti da Tokyo!”, o scriverlo su una cartolina.
Dopo circa due ore e mezza di aliscafo a tutta forza e 30 minuti a velocità ridotta per non frullare i cetacei che si trovassero sulla rotta, si arriva a Niijima, un’isola vulcanica sulla quale, dice l’annuncio registrato, c’è la più grande concentrazione di riolite al mondo, insieme a Lipari, in Italia. Mi meraviglia sentire un nome familiare in un posto tanto remoto. L’isola è selvaggia, fatta di montagne che sovrastano spiagge strette e lunghe, il colore del cielo cambia di continuo. A prima vista colpisce il grande numero di edifici trascurati, abbandonati, mangiati dal tempo; il villaggio principale ha 2 semafori e si sviluppa dalla riva sabbiosa incuneandosi per una valle senza fiume. Non ci sono corsi d’acqua sull’isola ma i pozzi sono piuttosto abbondanti. Il carattere degli isolani è accogliente e sbrigativo, a tratti diffidente verso il forestiero. Temo che a questo contribuisca la situazione COVID e l’idea che il villeggiante possa essere uno spensierato vettore del virus. Capisco la paura e a ogni buon conto evito di dire che abito a Shinjuku, il focolaio più feroce di Tokyo. A pensarci bene la parola quarantena è nata presso i veneziani, che come tutti i popoli isolani hanno uno sviluppato istinto di protezione verso la loro terra. Se i giapponesi sono un popolo da arcipelago, gli abitanti di Niijima sono gli isolani degli isolani. Si capisce abbastanza chiaramente che quest’isola ha campato di miseria per secoli: fino agli anni ‘60 non c’era non dico il porto, ma nemmeno un molo e i pescatori dovevano trascinare le barche a braccia fino alla fine della spiaggia. Lì c’erano dei casotti su palafitte (mi hanno ricordato un po’ i casoni di Grado) dove erano depositati gli attrezzi per la pesca, unica attività possibile visto che a causa del vento continuo e umido di mare l’agricoltura qui non è mai decollata. Per la conservazione del pesce la gente dell’isola ha sviluppato un sistema che è ormai riconosciuto come la preparazione più puzzolente tra i cibi del Giappone e forse del mondo: kusaya.
Come altre isole italiane, anche Niijima è stata usata nei secoli come luogo di esilio per avversari politici e aspiranti agitatori sociali del Giappone. Appena c’era odore di sobillazione popolare, i capi della rivolta venivano deportati qui.
Adesso ci si viene in vacanza e la spiaggia sul versante occidentale è protetta da un lungo muro di tetrapodi, si gioca sulla sabbia, si può pescare, si nuota e poi ci si va a riposare alle terme. Ecco, penso che ogni posto di mare debba avere delle terme come quelle che ci sono a Niijima: aperte 24 ore e gratuite per chiunque, con una vista infinita sull’oceano, il rumore delle onde, gli isolani che ci si trovano, attaccano discorso e fraternizzano con i visitatori (pochissimi, in questo periodo). E pazienza se una delle vasche è sormontata da un tempietto dorico-steampunk improbabile. Ho passato qui ogni pomeriggio, in ammollo, spesso con scrosci di pioggia che accentuavano il godimento della natura, dell’acqua di mare bollente. Sotto, in alcune calette, si vedono dei massi di pietra pomice che galleggiano sul mare, uno spettacolo che sembra una illusione ottica.
A est invece la costa è molto più selvaggia: montagne di sabbia bianca che si sgretola, un mare minaccioso verde e blu, il vento forte che sobilla le onde che a loro volta distruggono strade, inondano la terra. Per chi è italiano e innamorato del nostro Mediterraneo, questo mare fa un po’ paura e aiuta a capire il rapporto tutt’altro che romantico che i giapponesi hanno con l’oceano e la sua forza distruttrice.
La storia geologica dell’isola è vulcanica: 13 diverse fonti di lava l’hanno formata in epoche diverse. L’ultima eruzione ha unito le 3 montagne che svettavano sul mare e ha creato la zona all’asciutto dove sorge il villaggio principale. Il tutto è avvenuto circa 1000 anni fa ed è l’evento geologico più recente su cui io abbia mai messo i piedi. D’altronde Niijima si scrive con i caratteri di nuovo e isola.
Solo dopo qualche giorno di permanenza ho cominciato a notare alcuni particolari pieni di dolcezza che all’inizio avevo trascurato, convinto di essere in un posto privo di lati eleganti. In alcuni giardini gli abitanti tengono delle piante e dei fiori curatissimi: li potano, li annaffiano e questi piccoli quadrati di natura addomesticata riscattano e perdonano la furia degli elementi. Mi hanno commosso in particolare le piante per me familiari familiari come il fico, la vite e il gelso. È possibile che chi viaggia ricerchi ovunque le cose di casa propria?
Per chi vuole, qui ho messo una galleria di foto (un po’ come le diapositive da sorbirsi a casa di uno di ritorno dalle vacanze) e la spiegazione di come e perché si prepara il kusaya.