Family Romance LLC
A Tokyo esiste un’agenzia che fornisce attori che facciano la parte di qualcuno nella vita reale, non in un film o a teatro. C’è chi non ha abbastanza invitati al matrimonio e vuole aggiungere una tavolata, chi ha bisogno di richiamare più pubblico a un evento o presentarsi con un amico in una situazione sociale, chi ha bisogno di un capro espiatorio che si prenda una sgridata al posto suo. Sono tutti potenziali clienti della Family Romance, il cui presidente è un personaggio molto carismatico che è apparso spesso sui media giapponesi perché -questo sia chiaro- la sua attività è molto bizzarra persino qui.
L’unico legame fra Werner Herzog e il Giappone a cui io possa pensare è una sua breve apparizione nel documentario Tokyo ga di Wim Wenders, nel quale, di ritorno dall’Australia, Herzog incontra l’altro tedesco sulla cima della Tokyo Tower.
Adesso su MUBI è uscito un suo film ambientato e girato a Tokyo: Family Romance LLC, il cui protagonista è proprio Yuichi Ishii, il capo della stessa agenzia. Non è un documentario, ma alcuni personaggi ripresi (da Herzog stesso) probabilmente non sanno di essere in un film pensato come fiction.
Gli attori non sono professionisti ma, appunto, il vero gestore di questa agenzia e altre persone alla loro prima esperienza.
La storia esplora il tema della finzione utilizzata per raggiungere risultati emotivi reali, un’attività particolarmente sviluppata in Giappone. Senza arrivare agli amici in affitto, questo paese trabocca di locali in cui passare del tempo parlando con ragazze o ragazzi, farsi servire da bere e confidare cose che forse a persone più intime è difficile dire, ci sono servizi telefonici con i quali intrecciare rapporti umani con sconosciuti senza volto, bar in cui più che le bevande quello che ha valore è chi le serve, il suo carisma, la sua capacità di ascoltare e capire.
Chi lavora come hostess o hosto in un club vende questo: la vicinanza e la possibilità di un rapporto umano. Non è un caso che in Giappone il tabù verso la prostituzione sia un po’ più fluido che in Europa, almeno quella mediterranea.
E poi ci sono le usanze più particolari come interrogare indovini e sciamani, una pratica molto diffusa e normalizzata qui (ci sono dei gabbiotti in alcuni centri commerciali dove farsi leggere la mano, le carte, il futuro). Lo sviluppo di robot dichiaratamente antropomorfi segue un po’ la stessa idea: un artificio che provochi effetti psichici positivi al genere umano. Il punto è: quanto siamo consapevoli di essere ingannati? E quanto conta? Allargando il campo: non sappiamo forse benissimo che un film o un romanzo sono oggetti di fantasia? Pur essendo consci che gli attori sullo schermo recitano ci emozioniamo lo stesso: su questo si basa l’impostura dell’arte, la sospensione dell’incredulità.
Herzog esplora il Giappone senza giudicare e presenta un po’ di questi temi con una storia che sembra un carburante per far riflettere il cervello. In alcune parti sembra di vedere una finzione nella finzione, come in alcuni melodrammi in cui i cantanti vestono i panni dei personaggi che a loro volta recitano (un esempio su tutti Così fan tutte). È un film con chiare imperfezioni, alcune scene sono poco credibili viste da uno che abita a Tokyo e conosce le abitudini locali, e ogni tanto gli attori sono poco convincenti. In ogni caso sono certamente meglio di qualunque attore giapponese tra quelli che vedo in giro, quindi meglio così.
Il film è corredato da una introduzione del regista e una piccola intervista in cui Herzog si conferma un uomo profondo, ricco di una rara intelligenza compassionevole; lo ascolterei per ore. Il film racconta dell’umanità stessa, anche se presa in un suo aspetto apparentemente assurdo.
Un fatto divertente: in questo film compaiono due persone che ho conosciuto: una sciamana e un impiegato dell’agenzia stessa. Quest’ultimo mi ha raccontato che una volta, chiamato a un pranzo di matrimonio come figurante, ha partecipato alla piccola riffa che si fa tra gli invitati e ha vinto un piccolo elettrodomestico tipo un tostapane. Lo ha ricevuto ringraziando e se lo è portato a casa. Il giorno dopo gli sposi lo hanno chiamato piuttosto seccati perché doveva restituirlo. Va bene amico su ordinazione, ma il tostapane no.