Fotografe oltre gli oceani
Tokyo, 22 maggio
La città sta tornando ai suoi ritmi, le stazioni del centro ricominciano un po’ ad affollarsi, automobili e furgoni si riprendono le strade, il movimento che riempie abitualmente Tokyo si rifà vivo. In questa coreografia mancano i turisti e gli studenti. Le divise degli adolescenti di medie e superiori creano una coreografia a sé e la città non mi sembra la stessa senza i ragazzi in gruppetti vivaci e ordinati. Intanto l’idea di spostare l’inizio dell’anno scolastico a settembre pare sia stata abbandonata, di certo il Giappone fino al 2021 rimarrà nella sua scansione del tempo, distante dall’occidente.
In alcune città lo stato di emergenza è stato revocato, ma non a Tokyo, mentre per tutta l’estate non sarà possibile salire sul monte Fuji. Guardando i dati ufficiali di contagi e decessi è difficile capire cosa sia successo in questo paese, e perché. Investigare le cause del contenimento sarà interessante per il futuro, ma intanto rimangono gli interrogativi su come e quando riaprire il Giappone, che di fatto per ora è praticamente sigillato. Anche sulle olimpiadi, ancora fissate al 2021, sorgono dubbi enormi: si faranno veramente? Saranno spostate, annullate?
Angosciati dall’ansia per il futuro, la cosa migliore è rifugiarsi nell’arte. Personalmente mi godo la visione di film che non ho mai avuto la calma di guardare (qui un elenco gustosissimo col migliore film giapponese per ogni anno dal 1925 al 2019) e ricordando le mostre migliori che ho visto recentemente.
Ad esempio quella della fotografa Eiko Yamazawa, una donna veramente unica.
Classe 1899, nasce a Osaka in un’epoca da cui una ragazza non poteva aspettarsi troppo, ma la famiglia la fa studiare e si diploma all’accademia d’arte specializzandosi in pittura giapponese. Siamo nel 1918. In questo periodo conosce e diventa amica di figure importanti del femminismo giapponese: scrittrici, attiviste, attrici che lottano per la liberazione delle donne ancora senza diritto di voto, escluse dall’educazione e dalla vita sociale. Eiko intraprende la strada della fotografia e nel 1926 fa il gran salto: un viaggio di studio negli Stati Uniti. In California frequenta l’accademia di belle arti e lavora come assistente di vari fotografi, poi visita l’Europa, torna in America, in California e poi a New York dove continua il suo lavoro di fotografa. Nel 1929 deve tornare in Giappone perché suo padre è morto, quindi prende la nave e apre uno studio fotografico tutto suo a Osaka. Nonostante sia una donna, la sua capacità di ritrarre ha molto successo e i clienti non mancano. Durante la guerra scappa da Osaka e si rifugia in un piccolo paese di campagna dove fotografa i personaggi e gli attori locali, come fosse un artista incisore dell’epoca Edo. Dopo la guerra riprende la sua attività spostandosi all’arte astratta: le sue foto si concentrano su forme e colori nella essenza delle superfici.
Una fotografa del ‘900 che lascia un mondo rurale, tradizionale e maschilista per andare in America, si circonda di figure rivoluzionarie, diventa un’avanguardia della sua epoca: sfido qualunque friulano a non pensare alla nostra Tina Modotti. Una da est e l’altra da ovest, ognuna ha attraversato un oceano per inseguire la propria vita. Io ci ho pensato per tutta la visita alla mostra, lo scorso dicembre, mentre guardavo le foto degli oggetti, gli ambienti che diventano nature morte, le superfici che restituiscono una luce strana, esotica. Eiko Yamazawa è vissuta fino al 1995 e un video la mostra ultranovantenne mente commenta i suoi libri fotografici in una parlata mista di dialetto del Kansai e inglese statunitense. Lì questa grande artista troppo dimenticata sembra una nonnina deliziosa ma si capisce che è stata soprattutto una donna eccezionale, nella sua determinazione rivoluzionaria e gentile.