Un albero
Tokyo, 12 marzo, 134 giorni alle olimpiadi
Tre settimane fa qualcuno mi aveva detto “se la situazione a Tokyo peggiora, forse è meglio tornare in Italia”, che pensandoci adesso fa un po’ ridere.
La situazione qui è di allarme moderato: si esce, ci si sposta con cautela, le scuole sono ancora chiuse, i ristoranti aperti, i concerti e gli eventi annullati. Si sta di più a casa ma anche nei parchi, all’aperto a godere la primavera che è già qui.
Tutti pensano alle olimpiadi ma gli amministratori continuano a sostenere che si faranno come da programma, forse si stanno sforzando di non mostrare le preoccupazioni che sicuramente avranno.
Questa settimana ci sono stati gli anniversari di due catastrofi obiettivamente peggiori di questo virus: i 9 anni da terremoto e tsunami del Tohoku e i 75 anni dal bombardamento di Tokyo del 10 marzo 1945. Centomila morti in poche ore e il 25% della città distrutta: un evento ormai invisibile a chi arriva a Tokyo, ma che ho incrociato molte volte parlando con gli anziani.
Chiunque abbia una certa età ci ha perso familiari, amici, conoscenti; il giorno dopo tutto era una distesa carbonizzata, si racconta che al posto di molte case rimanessero solo le casseforti, unico oggetto di metallo posseduto dagli abitanti. Quando entro in confidenza con gli anziani chiedo sempre se se lo ricordano e una signora che abitava di fronte a me me ne ha parlato commuovendosi. Ci ha perso la sorella.
Nel documentario Fog of War Robert McNamara spiega che la scelta delle bombe incendiarie fu presa valutando che tutta Tokyo era costruita in legno e sarebbe bruciata facilmente. C’è un museo a Koto-ku che raccoglie la memoria di quei giorni, ma non l’ho ancora visitato. Un altro documento è sotto gli occhi di tutti ma raramente viene notato: un albero, un maestoso ginko nel giardino del tempio Sensōji ad Asakusa. Il suo interno è carbonizzato, ma la pianta si è rigenerata all’esterno, sopravvivendo alla distruzione del bombardamento. Se vado ad Asakusa vado ritualmente a salutarlo, è come un santuario per me.
Ma perché questo interesse nelle disgrazie passate? Niente paura, è una caratteristica dei friulani. Ricordiamo le tragedie, soprattutto quelle collettive, per leggere il presente. Le guerre mondiali, il terremoto, sono cose vive nel ricordo, più dei periodi felici, forse perché fanno mettere in prospettiva i problemi del presente.