Le brave ragazze
«Bellissime, pulite, sobrie tranquille». «Eleganti, corrette». «Simpatiche, assolutamente ineccepibili sul piano della moralità e dell’eleganza». Così le feste del Cavaliere nelle aggettivazioni usate dal premier, da alcune delle sue invitate e da quella parte del Pdl che ancora ci mette la faccia. È una parte piccola, circoscritta al club mediatico Santanché-Cicchitto-Stracquadanio-La Russa, perché immagino che il resto sia stordito. E stordite, credo, siano soprattutto le donne. Come tutte le italiane, per qualsiasi partito votino, davanti alla evidenza dei fatti, davanti ai regalini in contanti infilati nei cd di Apicella, agli appartamenti in comodato d’uso, alle candidature allegate all’invito in villa, devono rispondere a una domanda interiore: ma tu ci andresti a una festa così? Oppure, ci manderesti tua figlia?
È la proposta indecente che questa politica fa a tutte noi e mai avremmo pensato che potesse arrivare dai palazzi delle istituzioni. Ti vestiresti da infermiera sexy per cinquemila euro? Ti faresti istruire da da Lele Mora sulle autoreggenti da metterti per avere un posto di lavoro? Una volta doveva chiederselo chi bussava alla porta di uno scalcinato faccendiere di Cinecittà (tipo Walter Chiari in “Bellissima”). Nessuno immaginava che lo stesso interrogativo potesse essere associato a una “festa elegante” a casa di un presidente del Consiglio. Ci hanno insegnato da piccole che la nostra dignità era appesa anche al rifiuto di quel tipo di compromesso, che dovevamo tenerci alla larga da chi lo proponeva, che dovevamo studiare ed essere brave, più brave pure dei “maschi” per dimostrare di avere le qualità per un ruolo nel lavoro, in politica, persino nella famiglia, respingendo l’idea stessa di cercare scorciatoie nella seduttività. E adesso, personalmente, non me ne importa niente dei dettagli giudiziari, della competenza di Monza o Milano, della qualificazione del reato: vorrei sapere se quella lezione è ancora valida per chi governa, per il “partito dei valori” nel quale sono stata un anno e mezzo senza immaginare i teatrini di Arcore, per le singole persone che lo compongono, per le istituzioni in cui dovremmo credere, o se le mie figlie dovranno rassegnarsi a giudicare normali – oltre al resto – pure le “proposte indecenti”.