Il ragnarök elettorale che ci aspetta
Crisi in gennaio, voto a marzo. Secondo i retroscenisti il Piano A del premier è questo e il comizio di Milano è stato, a tutti gli effetti, l’apertura della campagna elettorale, come ha detto Daniela Santanché. Ma ve la immaginate una campagna elettorale in questo contesto, in questo «clima»? Altro che ’48. I capisaldi della propaganda del PdL sono già oggi declinati con chiarezza sulla stampa amica del premier: fendenti alla magistratura «che ci ha impedito di governare» e ai finiani «complici delle procure contro la volontà popolare». L’atmosfera da ultima spiaggia, scontro finale, D-Day, sarà promossa con l’escalation emergenziale che già vediamo all’opera, tra le cupe previsioni di Maroni (l’attentato a Belpietro «non sarà l’ultimo») e i lavoretti di dossieraggio alla Lavitola.
Mettiamoci il disperato inseguimento tra Pdl e Lega al Nord – quindi slogan xenofobi e promesse di repulisti etnici – insieme alla caccia al voto cattolico; mettiamoci la mobilitazione intensiva dei media pubblici e privati insieme alla criminalizzazione su larga scala dell’avversario, e più che una sfida elettorale dobbiamo immaginare un ragnarök, la battaglia che nella mitologia nordica segna la rigenerazione del mondo attraverso la sua totale distruzione. «E alla fine ne resterà solo uno»: ecco, questo potrebbe essere lo slogan per il voto di marzo se si lascerà che le cose scivolino secondo gli interessi del premier e della Lega (che tra l’altro, con un suo ministro al Viminale, gestirà materialmente ogni adempimento). Ma siamo sicuri che la democrazia italiana possa permettersi una cosa così, chiunque sia a sopravvivere tra le macerie?